Lettera di Giampiero Mughini a Dagospia
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Caro Dago, leggo stamane il bel “Buongiorno” di Mattia Feltri sulla prima pagina della “Stampa” e subito mi viene in mente che la questione era stata risolta in un magnifico testo di Robert Musil di quasi un secolo fa. Lì dove lo scrittore austriaco tratteggiava i lineamenti del “cretino” a lui contemporaneo, e dunque del cretino immarcescibile ed eterno.
Un tratto peculiare di questo personaggio, scriveva Musil, è che quando mettono sotto accusa un suo amico lui si imbestialisce e dice peste e corna dei magistrati; quando mettono sotto accusa un suo nemico, lui subito li elogia e ne decanta i meriti professionali.
Mattia ha scritto della vicenda di questi tre ragazzi inizialmente accusati di avere stuprato una fanciulla e che adesso i magistrati del Tribunale del Riesame hanno liberato uno dopo l’altro perché ritengono che i capi di accusa contro di loro appaiono deboli o inesistenti.
presunto stupro circumvesuviana
Naturalmente non so nulla della questione, semplicemente prendo atto del lavoro e della decisione di quei magistrati. Sto zitto, zittissimo, prendo atto del lavoro di professionisti competenti. E questo mentre schiamazzano quelli che – pur non sapendo come me niente di niente – gridano alla lesa maestà, al fatto che dei magistrati non abbiano creduto alla parola di una donna, che la “vittima” è divenuta “vittima” una seconda volta. Stupidaggini, dichiarazioni prive di senso, enunciati retorici, fastidioso rumore di fondo di una società fondata sul “sentito dire”.
presunto stupro circumvesuviana
Il processo ha tutte le occasioni perché il tema in questione venga pesato e ripesato. L’accusa farà appello contro i magistrati che hanno preso quella decisione. Per ciascuna delle parti in causa ci sarà modo di far valere i propri diritti, il diritto di chi accusa, il diritto di chi difende. Noi dobbiamo starcene zitti e vedere che cosa ne verrà fuori. Né le parole dell’accusa né quelle della difesa hanno una supremazia originaria e di partenza, nemmeno la vulgata che la donna è sempre una vittima. Lo è tantissime volte, non necessariamente tutte.
Un discorso che vale anche per quei casi recenti in cui la richiesta dell’accusa contro un “femminicida” (30 anni di cella) è stata attenuata dalla sentenza (16 anni di cella) in base alle caratteristiche specifiche e dell’omicidio e dell’omicida. Ma che altro deve fare un magistrato se non valutare le caratteristiche specifiche del caso che gli viene sottoposto?
NAPOLI - RAGAZZA STUPRATA NELLA CIRCUMVESUVIANA
Ma qual è la dignità intellettuale di donne che protestano contro questa sentenza perché ai loro occhi è come se la morte di una donna fosse svalutata? Ma che c’entra? C’entra che quel caso lì è andato a quella maniera lì – atroce maniera ovviamente – e che la pena deve essere commisurata a quella maniera.
Né 16 anni di cella sono esattamente un panino al prosciutto. A meno non di non ragionare come hanno ragionato per decenni gli americani, ossia che una morte domanda un’altra morte. Tu togli la vita, io ti tolgo la vita. Altro che l’inezia di 30 anni di cella.
GIAMPIERO MUGHINI
NAPOLI - RAGAZZA STUPRATA NELLA CIRCUMVESUVIANA