Lettera di Giampiero Mughini a Dagospia
Lamberto Sechi
Caro Dago, lo sappiamo tutti che la carta dei giornali piange le lacrime della disfatta, e anche se tu sei uno che ne gongola: perché quindici anni fa hai scelto di puntare su uno strumento di comunicazione diverso. (E comunque senza i giornali di carta non ci sarebbe stata neppure una paginetta di Dagospia.)
panorama lamberto sechi
Solo che nell’ambito di questa disfatta ci sono eventi che assumono un’importanza simbolica particolare, e non ne parlo solo per fatto personale. Leggo difatti che alla Mondadori hanno deciso di chiudere la redazione romana di “Panorama”, dov’erano rimasti in tutto e per tutto cinque o sei giornalisti. Dei trenta o poco meno che ne costituivano il team dei tempi fulgidi.
Quella redazione di via Sicilia che era il cuore del settimanale mondadoriano, il primissimo newsmagazine italiano, il giornale che negli anni Settanta, Ottanta e primi Novanta figurava come “la gallina dalle uova d’oro” del gruppo editoriale milanese (vendeva 180mila copie in più del diretto concorrente, “L’Espresso”).
giampiero mughini
Il giornale che Lamberto Sechi aveva fondato e modellato e che il suo allievo di maggior talento, Claudio Rinaldi, aveva portato a metà degli Ottanta all’apice del suo fulgore editoriale. Dalla redazione di via Sicilia sono passati in tanti a impararvi qualcosa di professionalmente cruciale, da Bruno Manfellotto a Barbara Palombelli, da Filippo Ceccarelli a Pino Buongiorno, da Fabrizio Coisson a Toni Pinna, per dire di un giornalista “di macchina” cui non sfuggiva una data o un nome di battesimo errati dei nostri articoli.
bruno manfellotto curatore della mostra
E tantissimi altri. Quando nel novembre 1987 salii per la prima volta i gradini della palazzina di via Sicilia, erano molte le firme importanti del settimanale e in tutti i settori. Ricordo di aver pensato che la firma “Augusto Minzolini” fosse un sorta di pseudonimo del giornale: da come erano scritti quegli articoli, zeppi di fatti e di notizie ma privi di un particolare sapore.
Mai avrei immaginato che li scriveva un bravissimo cronista che sarebbe poi asceso alle vette supreme della professione, e del resto a conoscerlo personalmente l’Augusto del 1987 era simpaticissimo. Temo che in appresso la sua ambizione lo abbia tradito.
la7 00 monti ferrara palombelli
La sua ambizione politico-professionale maturata nel tempo che si sarebbe rivelato fatale per “Panorama”, ossia il fatto che la proprietà della Mondadori fosse passata per metà nelle mani di Silvio Berlusconi, e mai nella storia del giornalismo era successo che un newsmagazine importante appartenesse a uno dei protagonisti della scena politica di cui il giornale deve dire tutto il bene possibile e a tutti i costi. Assurdo. Suicida.
CLAUDIO RINALDI EUGENIO SCALFARI
E difatti Rinaldi rassegnò le dimissioni e non che i successivi direttori di “Panorama” fossero degli imbecilli – non lo era Andrea Monti, non lo era Nini Briglia, non lo era era di certo Giuliano Ferrara, e anche se il newsmagazine non era il fucile adatto per la sua spalla. E non è che dal 1993 in poi “Panorama” mancasse di ottimi giornalisti. Era l’anima del giornale rinaldiano che era stata lesa, di quel giornale che era assieme fresco e aguzzo e ogni settimana inedito.
Era finita un’avventura, cominciava un’agonia. Un’agonia che era dei settimanali tutti, di giornali dove scrivevi al giovedì pomeriggio articoli che il lettore avrebbe avuto in mano il sabato mattina. E mentre i quotidiani si erano sempre più “settimanalizzati”, da quanto vi erano divenuti decisivi giornalisti che provenivano dalla scuola dei settimanali, Eugenio Scalfari e Paolo Mieli innanzitutto.
COVER DI PRIMA COMUNICAZIONE MINZOLINI
E del resto un direttore come Briglia lo capì a volo che il “Panorama” classico era bell’e stecchito e difatti nel giornale da lui diretto scelse come cavallo di battaglia gli articoli che raccontavano la diffusione sempre più prepotente dei telefonini. Briglia era con me gentilissimo. Io dei telefonini me ne strafottevo altamente e gli proponevo un articolo su Carlo Mollino che lui accettava, e seppure glielo leggessi in faccia che reputava quelle due pagine buttate al vento.
Si spense il secolo, si spensero i newmagazine, si spensero i giornali che arrivavano al lettore 24 ore dopo la comunicazione su Internet. I capi di “Panorama”, un giornale che a leggerlo sembrava che Cesare Previti avesse tutte le ragioni del mondo, erano tutti degli ammiratori di Berlusconi o fingevano di esserlo, e non che Berlusconi non sia stato un protagonista da tenere in gran conto.
previti berlusconi hp
Solo che gli articoli ammirativi di Berlusconi avrebbero dovuto apparire sulle pagine della “Repubblica”, dove sarebbero stati sorprendenti e originali rispetto alle paginate e paginate di odio assoluto verso il Berlusca. No, non sulle pagine di un giornale di cui Berlusconi era il proprietario, e dove la buona parte dei collaboratori erano scelti per il loro filoberlusconismo (Bruno Vespa tenne a lungo una rubrica sui vini).
BRUNO VESPA DEGUSTA VINO
Peccato, peccato che sia andato così, che il giornalismo italiano per dieci o vent’anni si sia spaccato in due fronti avversi. Io che non ne avevo la benché minima voglia di stare nell’uno o nell’altro fronte, ero divenuto perfettamente inutile in un giornale il cui gruppo dirigente reputavo gente da due soldi. Mi dimisi a fine 2005. Scesi i gradini di via Sicilia un’ultima volta dopo aver salutato le due segretarie e nessun altri.
Filippo Ceccarelli
Nessuno degli 80 o 90 miei colleghi mi fece una telefonata o mi mandò un biglietto di saluto. Già allora “Panorama” era un giornale precipitato verso giù in fatto di copie vendute e di autorevolezza giornalistica. Se ne andava così non un pezzo di storia del giornalismo italiano, e bensì la vita di quelli della mia generazione. Di quelli cresciuti nell’odore e nel sapore dei giornali di carta. Di quelli che per venti o trent’anni mai avrebbero rinunciato alla copia settimanale di “Panorama”.
GIAMPIERO MUGHINI