Giampiero Mughini per Dagospia
federer wimbledon
Caro Dago, per noi che reputiamo lo sport quale il più gran teatro al mondo, il più grande spettacolo al mondo nell’offrirci i casi e le vittorie e le sconfitte di memorabili protagonisti, questa settimana di gran tennis a Torino è stata entusiasmante. Vi si contendevano gli otto tennisti migliori al mondo, uno dei quali il nostro formidabile ventenne metà tedesco e metà italiano, Jannick Sinner, il quale dopo essere stato spianato 6-0 dal demoniaco russo venticinquenne numero 2 al mondo s’è poi battuto punto su punto per due set lunari, alla fine dei quali ha perso per un’inezia. Per un’inezia
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Degli otto tennisti di Torino cinque sono alti poco meno di due metri, il tennis è divenuto uno sport di giganti, e anche se il numero uno al mondo, Novak Djokovic, è alto “soltanto” 1 metro e 88. Uno sport di giganti che sparano dei servizi alla velocità della luce da quella loro altezza inumana. Tutto il resto ne consegue, scambi lunghi basati tutti sulla potenza, pochissimo gioco a rete, pochissime variazioni sulla sinfonia che ho detto.
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Resto di stucco quando sui giornali vedo che qualcuno chiede a un qualche grande tennista chi sia stato il più grande interprete nella storia di questo sport, come se ci fossero molte risposte possibili a questa domanda. Resto di stucco finché non arriva la risposta di un uomo intelligente come Adriano Panatta, quello che indossò una casacca rossa nel giocare e vincere la Coppa Davis in casa del dittatore cileno Augusto Pinochet. Una risposta semplice semplice, e cioè che quello che ha giocato il miglior tennis che si si sia mai visto al mondo è un tennista svizzero di nome Roger Federer, un tennista di cui non so se mai più lo vedremo indossare dei calzoncini corti su un campo da tennis in erba o in cemento.
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Ed è una risposta su cui non piove una sola goccia. Sì, sì, magari Djokovic vincerà qualche slam in più di Roger, e fors’anche Rafa Nadal (grandissimo) aggiungerà qualche altro Roland Garros al suo palmarès. Non vuol dire nulla di nulla. Il tennis che ha giocato Federer per poco meno di vent’anni è uno sport di cui non c’è più traccia al mondo. E’ stato un altro sport, tutto un altro sport, tutta un’altra creatività. Mentre sto scrivendo ho appena visto su youtube la sequenza delle partite giocate e vinte da Federer a Wimbledon nel 2017.
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Da non credere ai propri occhi, giocate una dopo l’altra quali a Torino non se n’è mai vista una. La pulizia tecnica assoluta in ogni gesto di rovescio o di dritto. Smorzate come se piovesse, persino in risposta al servizio dell’avversario, che ne rimaneva pietrificato. Nessuna palla giocata se non indirizzandola, angolandola, avvelenandola al meglio.
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Quella racchetta in mano usata al modo di un violino. Non è stato soltanto un grande, grandissimo atleta. (Anche Djokovic lo è.) E’ stato un patrimonio dell’umanità, né più né meno di Michael Jordan, Fausto Coppi, Diego Armando Maradona, di cui mi è arrivato ieri il magnifico graphic novel edito da Solferino che gli hanno dedicato Paolo Baron (testi) e Ernesto Carbonetti (disegni). Di tutte le celebrazione del semidio argentino, forse la più struggente. A quando un graphic novel dedicato alla leggenda di nome Federer?
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