Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, sono qui a spendere poche ma valorose parole per una campagna che solo sulle tue pagine può trovare ospitalità. Ossia la difesa di noi “ricchi”. Stando difatti alle tragicomiche dichiarazioni dei redditi fatte dagli italiani, solo il 2 per cento della popolazione nostrana dichiara un reddito annuo superiore ai 120mila euro lordi, ossia a 6-7 mila euro netti per 13-14 mensilità. Da riderci sopra, se non fosse scandaloso.
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Ebbene, ovviamente io ci sono in quel due per cento di gente che non vedo come altrimenti si possano definire se non “ricchi”. Ebbene vedo che contro questa razza infame il fisco italiano sta apprestando una sua ragguardevole campagna che in termini reali è miserrima – miserrimo il risparmio in termini di spesa pubblica, miserevole il colpo inferto al sistema di vita di noi “ricchi” –, mentre invece è ai miei occhi allarmante in termini simbolici.
Ossia che sui redditi dei “ricchi” si debba colpire in tutti i modi e in tutte le direzioni. Ossia che non basta la progressività dell’aliquota – sacrosanta – ad alleggerire i redditi dei “ricchi”.
Leggo difatti su un quotidiano una pagina odierna con due notizie al riguardo. La prima che le pensioni sopra i duemila euro netti non godranno di alcuna indicizzazione, la seconda che alcune detrazioni fiscali verranno negate o amputate a chi denuncia un reddito superiore ai famosi 120mila euro lordi. Piccole cose, direte. La mia pensione resterà immobile com’è da dieci anni.
FATTURAZIONE ELETTRONICA
Detrarrò meno spese sanitarie relative ai miei due cani, cose così. Qualche centinaio di euro annui, che si sommano al migliaio di euro annui o forse più che ci ho rimesso con l’introduzione della fattura elettronica, per il fatto che tutte le piccole spese che sopporti per motivi di lavoro non le potrai più detrarre perché figurati se qualcuno ti farà mai una fattura elettronica per il panino che consumi su un treno per un viaggio di lavoro, e questo moltiplicato per 60-70 viaggi di lavoro all’anno.
E’ così, amen. Ma l’offesa maggiore è all’inizio del ragionamento. Io mi sento offeso a essere definito “ricco”. Sono venuto a Roma trentenne con seimila lire in tasca. Ho lavorato per 50 anni come un dannato, tutte le domeniche e tutti i sabati. Le cose che faccio le so fare benissimo e mi pagano bene, e benché non abbia dietro né un partito, né una gang, né un salotto, né una loggia massonica.
LUIGI DI MAIO A PORTO CERVO CON VIRGINIA SABA
Ho fatto ultimamente un buon lavoro pagato mica male, ebbene tra tasse e contributi Enpals ho versato il 60 per cento allo Stato. Se non è cialtroneria fiscale questa. E al governo, a occuparsi e a decidere dei redditi di noi “ricchi”, c’è un vicecapo del governo che in tutto e per tutto nella sua vita vendeva bottigliette allo stadio.
Non ci provate a definirci sprezzantemente “ricchi”, non ci provate, razza di cialtroni.
Giampiero Mughini