Monica Serra per “la Stampa”
NICOLETTA PALLADINI
La vetreria di Borgonovo Val Tidone non si è fermata lunedì. Non si è fermata neanche ieri. «La produzione prima di tutto. La produzione sopra a ogni cosa. Si è perso il valore delle persone. Sei solo un numero. Contano i soldi e quel che produci. Niente altro».
Sono arrabbiati i colleghi di Nicoletta Palladini, l'operaia cinquantenne che, nella notte tra domenica e lunedì ha perso la vita in questa azienda, a una ventina di chilometri da Piacenza, stritolata tra i rulli e la navetta del reparto "Fondo linea". «Non c'è più il rispetto per le persone. Neanche per la morte», ripetono.
Avevano chiesto all'azienda di bloccarsi, di sospendere le attività almeno un giorno, in segno di lutto e di rispetto per la famiglia di Nicoletta. Per i colleghi che hanno provato a soccorrerla, che l'hanno vista lì, con il corpo incastrato nel macchinario che l'ha uccisa. E invece niente.
NICOLETTA PALLADINI
«Anche i colleghi che l'hanno trovata morta domenica notte sono dovuti tornare la notte di lunedì. A lavorare intorno al punto esatto in cui lei ha perso la vita» Una scelta che l'azienda preferisce non commentare: «Abbiamo ritenuto di non sospendere le attività. Chi non se la sentiva poteva scegliere individualmente di restare a casa», taglia corto con modi gentili Elena Remondini, responsabile del personale.
Così, a partire dalle 14 di ieri pomeriggio e poi ancora alle 18 per una fiaccolata simbolica, parte degli operai ha deciso di scioperare, e di organizzare con i sindacati un presidio permanente davanti ai cancelli dell'azienda. Non solo i colleghi, ma anche chi conosceva Nicoletta è venuto qui a onorarla, a portare rose bianche e margherite sotto la sua foto sorridente, appesa alla ringhiera della vetreria.
LA MORTE DI NICOLETTA PALLADINI
«Nicoletta era così, rideva sempre, era piena di forza, non si risparmiava mai. Con nessuno. Né con noi né con la sua famiglia», racconta un'operaia che chiede di restare anonima. Come tutti qui «perché è meglio parlare con un'unica voce, non esporsi personalmente».
Ricorda che ha iniziato a lavorare qui nel 2000, a 19 anni: «Nicoletta era arrivata quattro anni prima di me. Le ho subito voluto bene, era così solare. E le risate, solo quelle, voglio ricordarmi di lei. Era come una sorella, che poi assomigliava anche a mia sorella. Non si fermava mai».
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Continua a fregarsi le mani, nervosamente mentre guarda la foto di Nicoletta: «Ha fatto tanti sacrifici per la sua famiglia, per quei due figli Giovara e Joshua. La più grande è un bravo medico, il suo orgoglio. Il secondo, bellissimo, uno sportivo, era il suo cocco. Ora sono distrutti. Era così felice Nicoletta, che finalmente, col marito Giorgio, era riuscita a comprare la casa, a ristrutturarla. Quanto l'aveva sognata. Tanti sacrifici. Troppi, per finire così».
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Anche al reparto di Nicoletta le attività sono state sospese solo fino alla fine del turno della notte tra domenica e lunedì. Poche ore dopo il ritrovamento del corpo della donna, il tentativo vano di salvarla, le urla disperate dei colleghi, la produzione è ripartita «come nulla fosse successo».
Sono lacrime e abbracci al presidio. Soprattutto tra le operaie che da una vita lavorano in questa vetreria. Che negli ultimi vent' anni, con Nicoletta hanno diviso problemi, preoccupazioni, sorrisi.
C'è anche il cognato, Tino, che va e viene dal presidio: «Ho lavorato trentasei anni in questa azienda anch' io. Ora sono in pensione. Non si può morire così. È inaccettabile».
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In attesa dell'autopsia e delle indagini dei carabinieri - in due sono indagati per omicidio colposo, tra loro il titolare della vetreria - Tino non vuole aggiungere altro: «Lo faremo al momento giusto». Sono tante le ipotesi dietro alla morte Nicoletta: solo la consulenza che a breve sarà disposta dalla procura potrà chiarire che cosa è successo. Per ora resta il dolore dei colleghi: «Non doveva essere pericoloso. Come è potuto succedere? Nel 2022 non si può morire così».
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