Ilaria Capua per il “Corriere della Sera”
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Che cosa ci aspetta non si sa, impariamo giorno per giorno cercando di gestire delle politiche sanitarie in una popolazione stanca, insicura e arrabbiata. Ormai si sa che le cose da fare sono tre: igiene, distanza, protezione. Per sé e per gli altri. In realtà ce n'e una quarta, il buonsenso che apparentemente va e viene a seconda di variabili indefinite. Ma al di là delle necessità gestionali e di sanità pubblica si percepisce un vuoto particolato, ovvero come se le particelle dell'ordinarietà fossero rimaste congelate a mezz' aria. Come se una nuvola cristallizzata di azioni, pensieri, diritti e doveri e il nostro stesso ruolo si fossero a un tratto sospesi nel periodo intrapandemico.
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Molto è fermo, gli aerei, i treni, le persone. Per forza, il virus si sposta con le persone, e si è fatto quello che c'era da fare. L'immobilità che adesso esiste naturalmente si trasformerà in una ripartenza. Disordinata e piena di rabbia all'inizio, ma mi auguro con un respiro ampio e che guardi al futuro, ora che sappiamo. Sì.
Sappiamo che ci si può fermare, sappiamo che questa è una pandemia che amplifica le diseguaglianze e le rende ancora meno accettabili. Una pandemia che mette soprattutto in discussione il nostro rapporto con la natura che già era stato messo in crisi dal cambiamento climatico, dagli incendi, dagli allagamenti e dagli tsunami, senza contare i disastri nucleari e la perdita della biodiversità. Certo che visto così è un po' tanto. Forse troppo.
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E sembra difficile trovare il bandolo della matassa. Invece il bandolo ce l'abbiamo: è una manopola a forma di virus che apre le mille e una porta dei sistemi fragili che abbiamo costruito o abbiamo ereditato. Poco importa se è colpa nostra o piuttosto dolo o persino negligenza. Alcuni di questi sistemi andranno profondamente riformati ma c'è qualcosa di più strutturale che dobbiamo cambiare.
Qui si tratta di arrivare alla radice del problema. Non si tratta di mettere pezze di cartongesso o micropali nell'argilla. Si tratta di ristabilire gli equilibri e tra questi l'equilibrio con gli altri esseri viventi del pianeta da cui siamo completamente dipendenti, ma anche con il contesto e l'ambiente che ci ospitano. La generazione dei cinquantenni è più green dei nonni di oggi e meno green dei propri figli. È una generazione cerniera che avrà un ruolo cardine nell'accompagnare la società verso un domani che di certo sarà diverso dall'oggi.
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La pandemia che ha trasformato l'impossibile nel necessario ci offre una grandissima opportunità che non si ripresenterà almeno per noi. Noi possiamo concentrare i nostri sforzi verso una riconversione sostenibile facendo un passo in più: un passettino che servirà ai nostri figli. Si sa, i giovani di oggi non accetterebbero mai delle violazioni al benessere animale o crimini ambientali su cui la nostra generazione ha nicchiato. Noi dovremmo cercare di rendere il loro compito più semplice impostandogli il lavoro per bene.
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I nostri figli dovranno rimettere un po' a posto la gestione del pianeta, altrimenti con le risorse proprio non ci stiamo dentro e con l'impatto dell'uomo abbiamo fatto anche peggio. Insomma, dovranno trovare delle soluzioni per arginare i danni che abbiamo fatto noi e i nostri predecessori, per esempio agli oceani, alla qualità dell'aria e alla madre terra che ci nutre. Le informazioni ci sono. Sono i big data un po' visibili un po' opachi, ma ci sono. Immaginiamo i big data come libri virtuali, da ripulire, tradurre e rendere fruibili ai nostri ragazzi che avranno domani pure i computer quantici - che si dice che faranno il lavoro di un anno in un secondo, ma questo non basta. I nostri figli dovranno cercare soluzioni per la sostenibilità di un pianeta trasformato e depauperato delle risorse.
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Loro avranno pure contezza che esistono tutti i libri virtuali con le informazioni che loro servono ma a oggi sono scaraventati in uno spazio non definito e inaccessibile. Noi potremmo farci carico di mettere a posto quei libri, permettendo alle nuove generazioni di leggere e comprendere quella storia di insostenibilità del pianeta che abbiamo costruito. È questo il regalo più grande che possiamo fare loro: ordinare e preparare il materiale di lavoro che sarà alla base delle soluzioni per una rinascita più rispettosa del sistema che ci ospita e dei suoi equilibri. Anche sì?