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    IN MORTE DI TOMMASO LABRANCA - LUCA MASTRANTONIO: ‘’TUTTI A PIANGERLO, MO. MA NESSUNO SE LO CAGAVA DA ANNI’’ – LANGONE: “PER DESCRIVERE IL PERSONAGGIO: ALLA PRIMA RIUNIONE DI REDAZIONE DI UN NUOVO PROGRAMMA, DOPO L'ESORDIO TROPPO SPAVALDO DEL CONDUTTORE PIERO CHIAMBRETTI – “IO SONO IL PIÙ GRANDE AUTORE TELEVISIVO ITALIANO” - LABRANCA FINSE DI ANDARE IN BAGNO E NON RIENTRÒ MAI PIÙ”


     
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    1. ‘’TUTTI A PIANGERLO, MO. MA NESSUNO SE LO CAGAVA DA ANNI’’

    TOMMASO LABRANCA TOMMASO LABRANCA

    Questa l’ho pubblicata su Facebook. Tutti a piangerlo, mo. Ma nessuno se lo cagava da anni. Luca Mastrantonio

     

    A Tommaso Labranca

    Non amavi i social network

    ma il giorno della tua morte

    sei diventato trending topic,

    un tipo di tendenza, forte.

    Così il nome si è fatto epitaffio,

    algoritmica etichetta di prefiche

    brave a compiangere, a sbafo,

    altrui sorti non più magnifiche.                                                                                                                                                                                                                                                             

     

    2. MORTO LABRANCA, L' ELEGANZA DEL TRASH

    Camillo Langone per “il Giornale”

     

    ANDY WARHOL ERA UN COATTO LABRANCA ANDY WARHOL ERA UN COATTO LABRANCA

    Venerdì pomeriggio mi sono perso a est di Milano (non ho il navigatore e con Google Maps sono imbranato) e a un certo punto ho visto il cartello «Pantigliate». Questo nome mi ricorda qualcosa, ho pensato. Ah, sì, il paese di Tommaso Labranca. Col teorico del trash avevo scambiato delle mail ma non lo avevo mai incontrato. Si ha un bel dire che grazie a internet un intellettuale può abitare ovunque: se Labranca avesse abitato a Milano probabilmente l' avrei conosciuto di persona ma siccome abitava a ben 19 chilometri dalla Stazione Centrale per me, adesso che è morto, è rimasto una fotografia, manco risiedesse in Amazzonia.


    Sarebbe bello avere un' ora di tempo e passarlo a salutare, mi sono detto venerdì sulla superstrada Paullese, ma un' ora di tempo non c' è mai e nel frattempo è apparso il cavalcavia grazie al quale sono riuscito a fare inversione di marcia e a raggiungere la mia meta.


    Labranca non abitava a Pantigliate perché respinto dalla metropoli come capita a chi non può permettersi certi affitti, ma perché era proprio di Pantigliate: viveva nell' appartamento sotto quello di sua madre. Il suo isolamento era in parte dovuto al carattere intransigente e polemico, in parte a una scelta, e non a caso un suo libro si intitola Il piccolo isolazionista. Prolegomeni ad una metafisica della periferia.

     

    TOMMASO LABRANCA TOMMASO LABRANCA

    A Pantigliate era legato anche il nome della microcasa editrice che aveva fondato: 20090, come il codice di avviamento postale del paese. Il suo momento magico sono stati gli anni Novanta: nel 1994 aveva pubblicato Andy Warhol era un coatto. Vivere e capire il trash, un saggio che si potrebbe definire epocale, bissato l' anno dopo da Estasi del pecoreccio. Perché non possiamo non dirci brianzoli.

    ROBERTO FREAK ANTONI dfa c fc bad cecce a ROBERTO FREAK ANTONI dfa c fc bad cecce a

     

    Entrambi pubblicati da Castelvecchi, sembravano farne l' estetologo di fine millennio, il nuovo Gillo Dorfles. Il '97 è l' anno di un tentativo di movimento filosofico-letterario assieme agli allora giovani scrittori cannibali Niccolò Ammaniti, Aldo Nove, Isabella Santacroce, Tiziano Scarpa, ma soprattutto dello zenith mediatico rappresentato da Anima mia, seguitissimo programma condotto da Fabio Fazio. Lui faceva l' autore e andava anche in video, ma non disponeva del pelo sullo stomaco per una televisione così mainstream e ruppe con Fazio e poi col resto dell' ambiente.

    LABRANCA LABRANCA


    Per descrivere il personaggio: alla prima riunione di redazione di un nuovo programma, dopo l' esordio troppo spavaldo del conduttore Piero Chiambretti - «Io sono il più grande autore televisivo italiano» - Labranca finse di andare in bagno e non rientrò mai più. Dopo simili episodi collaborò con programmi meno visti e a pubblicare con editori più piccoli, fino alle ultime scelte squisitamente autarchiche di autoproduzione. La sua parabola mi ricorda un po' quella di Luciano Bianciardi, altro talento in guerra con l' industria culturale, e mi fa pensare a un titolo di Roberto Freak Antoni: Non c' è gusto in Italia ad essere intelligenti.


    Concludo con un ultimo aneddoto e se lo trovate melenso, pazienza.
    Ogni anno verso Natale invitava gli amici per una piccola festa nella sua casa di Pantigliate: durante l' ultima edizione organizzò una mini-lotteria e col ricavato comprò delle coperte termiche che poi distribuì personalmente, una per una, ai barboni milanesi. Studiava il trash e il frivolo ma non era né trash né frivolo, Tommaso Labranca.

     

    3. DA WARHOL A ORIETTA BERTI ADDIO AL TEORICO DEL TRASH TOMMASO LABRANCA

    tommaso labranca dea verna lap tommaso labranca dea verna lap

    Stefano Bartezzaghi per “la Repubblica”

     

    Trash, cialtronismi, isolazionismi, Orietta Berti e Michael Jackson, Andy Warhol e Floradora, il pupazzo canino di Paolo Limiti. Lui scomparso (improvvisamente e a poco più di cinquant’anni), nessuno più saprà guizzare tra le onde mosse della cultura di massa con l’agilità e la sapienza di Tommaso Labranca. Era nato nel 1962, viveva nell’hinterland milanese di Pantigliate, si guadagnava da vivere traducendo manuali tecnici da una delle molte lingue da lui conosciute, esprimeva la sua inarrivabile competenza sulle idiozie e le meraviglie dei mass-media in un italiano ricco e inventivo.

     

    Di sé diceva che tutto era cominciato quando da ragazzo riuniva amici altrettanto eccentrici nel bar del mezzanino della fermata Cordusio della metro di Milano: se proprio tocca vedersi in centro, sia almeno sotto. Già allora inventava riviste, correnti artistiche, mode, denominazioni. I saggi di Andy Warhol era un coatto (1994) lo rivelarono come il teorico del trash, che definiva nei termini ineccepibili dell’«emulazione fallita ». Vennero poi l’Estasi del pecoreccio (1995, sottotitolo: «Perché non possiamo non dirci brianzoli») e Chaltron Escon (1998), a comporre la sua trilogia della critica del gusto. 

    piero chiambretti al mare piero chiambretti al mare

     

    Nel frattempo Fabio Fazio lo aveva imbarcato come autore e consulente nell’equipaggio del programma Anima mia, in cui Labranca svolgeva all’incirca il ruolo che il giovane D’Agostino aveva avuto in Quelli della notte. Seguirono altre esperienze in tv, alla radio e diverse collaborazioni, che lo lasciavano invariabilmente scontento. In un’epoca che ha fatto del risentimento la passione più diffusa, Labranca si era risentito prima e più di tutti. Ma sapeva essere anche il più divertente e produttivo dei risentiti.

     

    Ce l’aveva con i ricchi, specie se di sinistra, con i teorici fumosi, con i privilegiati problematici in genere e con chi si rifiutava di accettare un suo invito a Pantigliate. Il piccolo isolazionista (2004) non è stato solo il titolo di uno dei suoi libri migliori, era anche un’aspirazione: fare a meno di tutti. Labranca amava, davvero e quasi esclusivamente, inventare da zero le condizioni per esprimersi: siti internet, fanzine, cerimonie, cori, blog, collane, riviste illustrate, intere case editrici.

     

    Sul numero settembrino di Linus (oggi diretto da un altro reduce di Anima mia, Pietro Galeotti) uscirà uno dei suoi ultimi scritti, forse il suo ultimo tentativo di venire a patti con l’editoria e la scena pubblica. Lo leggeremo, ci sarà come sempre da ridere, da imparare, da sospirare. Da sospirare, anche troppo, questa volta.

     

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