Tommaso Labate per corriere.it
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«Allora, tanto per cominciare, là dentro il sottoscritto è l’unico che quei giornali li sa leggere», dice Lamberto Dini col timbro di voce identico a quando, un quarto di secolo fa, dominava la scena politico-finanziaria italiana e internazionale, direttore generale della Banca d’Italia prima, ministro degli Esteri e presidente del Consiglio poi, indimenticato leader del partito Rinnovamento Italiano, perennemente in preda a un atlantismo talmente marcato da guadagnarsi il soprannome di «Lambertow», come se invece che fiorentino da generazioni fosse nato a Washington o a Boston.
Il «là dentro» a cui si riferisce quando risponde alla telefonata del Corriere della Sera è Palazzo Madama, che ha frequentato come senatore per tre legislature, dal 2011 al 2013. Il luogo in cui oggi viene accusato da mano anonima, come ha riportato il Fatto quotidiano, di sottrarre la copia del Financial times a disposizione dei senatori. La mano anonima è quella che ha vergato un biglietto, lasciato nella sala lettura, con su scritto – senza eufemismi né giri di parole - «si invita il senatore Dini a desistere dal sottrarre il Financial times alla lettura di colleghi del Senato».
IL FOGLIETTO CON CUI LAMBERTO DINI VIENE INVITATO A NON SOTTRARRE IL FINANCIAL TIMES
L’ex presidente del Consiglio si dice amareggiato, anche se dal tono di voce non sembra. «Intanto, glielo ripeto, là dentro sono l’unico che quei giornali li sa leggere», rimarca. «Dalla A alla Z», sottolinea. Perché parla di giornali quando in realtà il giornale «incriminato» è uno solo, e cioè il Financial times? «Perché di norma leggo tutti i giorni anche il New York Times . Inizio a casa con la lettura di Corriere della Sera e la Nazione, il giornale di Firenze. Poi tocca ai due giornali stranieri. Comunque non è che me lo dico da solo, eh? Mi ha chiamato poco fa il dottor Marini, il medico del Senato. Me l’ha detto lui: “Lamberto, sei l’unico che qua dentro sa leggere i giornali stranieri”».
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Leggere è una cosa, sottrarre un’altra; consultare è un conto, portare a casa un altro. «Ovviamente non ho mai rubato il Financial times dalla sala lettura del Senato», spiega Dini. «Tra l’altro, le copie di quei giornali, che i giorni in cui non ci sono io rimangono intonse, partono per il macero alle cinque di pomeriggio perché la copia archiviata dalla Biblioteca di Palazzo Madama è un’altra, e in sala lettura neanche ci arriva». Quindi, magari, una volta che si è trovato a passare di là poco prima delle 17, prima che il personale ripulisse la sala lettura… «Alt», interrompe l’ex presidente del Consiglio. «Non le ho mai sottratte. Lette certo, non è ho problemi a dirlo. Portate via, mai».
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Per tutti coloro che si chiedessero a che titolo un ex senatore frequenti Palazzo Madama, la risposta è semplice: ne ha diritto. Vale anche per Palazzo Montecitorio: chiunque sia stato deputato o senatore anche per un solo giorno, ha ingresso libero nel «Palazzo» a vita. Un numero imprecisato di parlamentari del secolo scorso e di legislature remote usa a tutt’oggi le toilette del potere legislativo se si trova di passaggio dal centro storico e tutti i servizi annessi e connessi. «Io», dice Dini, «in Senato vado spesso per la Posta. A quella “di fuori” c’è la fila, dentro invece di fila non ce n’è. In Senato vado ancora in banca e anche all’agenzia di viaggi». Senza dimenticare, ovviamente, la sala letture e le amate copie del Financial times e del New York Times messe a disposizione per senatori ed ex senatori. Qualcuno potrà pensare che Dini, offeso dal bigliettino da mano anonima, smetta di usufruire del servizio. Offeso sì. «Ma che smetta di andarci per questo, assolutamente no».
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