MASSIMILIANO NEROZZI per il Corriere della Sera
juve fiorentina
Un pochino più Allegri, direbbe Lapo, chissà, se non altro perché arriva la vittoria e, soprattutto, la chance per staccarsi l'etichetta di zero tituli nella stagione, che la Juve scansa dal 2012. Per l'allenatore è la quinta finale di Coppa Italia, dopo le quattro già messe in bacheca, tutte allo Juventus museum.
Con il quarto posto vicino, e lo scudetto lontano, mai come adesso conta arraffare qualcosa di luccicante, coniugando il verbo che per la società è un motto e per il tecnico uno stile, più del gioco: vincere.
«C'è da fare i complimenti ai ragazzi - commenta Allegri - arrivare in finale era un obiettivo. Siamo stati bravi a crearci gli spazi davanti e fare una buona fase difensiva».
Unica pecca: «Abbiamo sbagliato qualcosa davanti, ma abbiamo vinto da squadra».
Anche se pesavano le assenze: «In tribuna avevo una squadra».
juve fiorentina allegri
Sempre Lapo Elkann - «Con lui ogni tanto ci sentiamo», sorride Allegri - aveva twittato di buon mattino, incitando i bianconeri: «Caro Mister e cari giocatori, stasera si va per vincere. Che sia una partita cotta e mangiata», con l'emoji della bistecca. Come dire, altro risultato non c'è.
Quello che, per tutta la partita, aveva tentato di garantire Dusan Vlahovic, affamato di gol, appunto, e di rapida vendetta contro i cori dello spicchietto di tifosi toscani, traditi e inferociti. Niente: quando il serbo non è occupato a fare a sportellate con Igor, spreca le poche munizioni che gli arrivano.
Diagonalone deviato e pallonetto murato. Così ci ha pensato l'ex (molto) meno gettonato, Federico Bernardeschi, che non segnava da dicembre. In ogni caso, dura lex sed l'ex: «Non giocavo da tanto tempo - dice alla fine l'esterno juventino - segnare è stata una soddisfazione, ma soprattutto lo è stato conquistare la qualificazione alla finale». Anche per gonfiare il morale: «Quando vinciamo in casa, davanti al nostro pubblico, la felicità è doppia».
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In tutto questo, Allegri se ne stava piuttosto tranquillo, tra la panchina e l'area tecnica, senza mai il bisogno di lanciare via il suo bel cappotto. Al contrario di Vincenzo Italiano, in tuta da lavoro e perennemente in tensione. E furente, all'intervallo, soprattutto con Duncan, colpevole di aver scelto male troppe opzioni di passaggio. Allegri aveva optato per un baricentro basso, come da suo mantra: «halma», fin dal principio, aspettando il giro palla avversario e armando il contropiede. Morale: un gioco con poca visuale e ancor meno visione. Meglio la zoomata sulla tribuna che gli stava dietro, con il cartello di un piccolo tifoso juventino: «Presidente portaci Mbappè».
lapo elkann
Effetti collaterali da massicce dosi di calciomercato. Come quello che, da un po', spira attorno alla Juve, intesa come società però. A partire dalle chiacchiere sul ritorno di Alex Del Piero. Chiacchiere, appunto, spiega senza fare una piega Maurizio Arrivabene: «Era a Torino con i ragazzi della sua Academy di Los Angeles e abbiamo ritenuto giusto dargli l'opportunità di salutare quello che è stato il suo pubblico.
Ha una storia nella Juve, e ne è un'icona. Niente di più e niente di meno». Del resto, se difficilmente rifiuterebbe un incarico onorario, altrettanto difficilmente, giura chi lo conosce, lascerebbe la California. Dove si sta sempre allegri.