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    LASCHET DI GUERRA – IL CANDIDATO CANCELLIERE DELLA CDU, ARMIN LASCHET, FINISCE NEL MIRINO DOPO LA CLAMOROSA DISFATTA ALLE ELEZIONI IN GERMANIA: HA PERSO ADDIRITTURA NELLA SUA CITTÀ, AQUISGRANA, CHE È FINITA IN MANO AI VERDI - INTANTO, MENTRE INIZIANO LE TRATTATIVE PER IL GOVERNO, L’ETERNA ANGELA MERKEL RIMARRÀ CAPO DELL’ESECUTIVO PER GLI AFFARI CORRENTI E DOMINERÀ ANCORA (A LUNGO) LA SCENA


     
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    1 - LASCHET LA CADUTA

    Letizia Tortello per "La Stampa"

     

    Laschet non ha dormito sonni tranquilli. Non sono passate nemmeno dodici ore dalla chiusura delle urne più disastrose di sempre per la Cdu e nel partito inizia la resa dei conti. Alla luce del risultato «peggiore della storia» per l'unione tra cristiano-democratici e cristiano-sociali, segnata dalla lenta e sfibrante uscita di scena di Angela Merkel, sul banco degli imputati c'è Laschet.

     

    Armin si trasforma in un guerriero ostinato in un castello di carta. Attaccato dai suoi, prova a difendersi, smentendo i toni trionfalistici di domenica sera, quando urbi et orbi in favor di telecamera aveva dichiarato di volersi candidare per formare un governo. Ieri mattina parlava diversamente: «Non rivendico il governo, la mia era un'offerta».

     

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    Frasi che fanno crollare ancor di più la sua credibilità, non solo tra i tedeschi che secondo un sondaggio Civey per il 70 per cento credono che dovrebbe lasciare. Anche dai nemici interni si levano le prime bordate. Un colpo arriva dal primo ministro bavarese Markus Söder: «Sì, è stata una sconfitta. Non si può dire altro quando si perdono così tanti voti. Una sconfitta».

     

    markus soder beve birra markus soder beve birra

    Il partito del conservatore, che era dato nettamente per favorito prima che l'Unione scegliesse Laschet come candidato alle elezioni, ritiene a questo punto più conveniente che la Cdu vada all'opposizione, per mostrare al suo elettorato di essere in grado di governare a Monaco anche in tempi di disgrazia.

     

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    Tra i conservatori c'è chi invoca il passo indietro. La prima a farlo pubblicamente è la deputata regionale Ellen Demuth, del parlamento della Renania-Palatinato, che twitta: «Tutto ciò che posso dire è Armin Laschet, hai perso. Per cortesia comprendilo. Evita ulteriori danni e fai un passo indietro».

     

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    Stessa richiesta dai giovani cristiano-democratici della Sassonia. Il partito si serra con un gesto che la «Welt» definisce «l'obbedienza ad un cadavere» e i giornali titolano «qualcuno glielo dica».

     

    Lo «Spiegel» parla dell'«universo parallelo» di Laschet. Lui, pallido e sfinito alla conferenza stampa post voto alla Adenauer Haus, ammette un parziale insuccesso: «È fuori discussione che il risultato non sia soddisfacente», dice, «e so di avere una quota di partecipazione personale». Ma evita accuratamente la parola «responsabilità».

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    E va avanti, mantiene una prospettiva di governo e anzi trova il modo di lanciare un messaggio a Scholz: «Non è il re. Non bisogna apparire arroganti, questo vale anche per lui». Si dice pronto ancora a trattare con Verdi e Liberali per una coalizione Giamaica, se dovesse fallire quella «semaforo».

     

    Al suo fianco il segretario generale Paul Ziemiack, invece, parla chiaro, di «perdite amare, che fanno male» e promette un'analisi «senza sconti», addirittura «brutale», dopo il crollo di nove punti alle urne. Certo, la Cdu dovrebbe fare un'offerta irrinunciabile ad ambientalisti ed Fdp per convincerli ad abbandonare il cavallo dell'alleanza coi socialdemocratici.

     

    Ma a pesare non sono solo le incertezze di un candidato che è sempre stato accolto tiepidamente anche dai suoi, oltre che un programma sbiadito sui temi ambientali, e che rivendicava come garanzia di stabilità solo la continuità con la politica di Angela Merkel.

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    A pendere sempre più sul capo di Laschet ci sono anche i numeri: la Cdu perde 3,4 milioni di voti. A Est non è più il primo partito, in Sassonia e Turingia, mentre la Germania si colora di rosso e l'Spd guadagna 1 milione e 400 mila voti dai cristiano-democratici, molti nelle regioni orientali.

     

    Perfino la città di Laschet, Aquisgrana, finisce in mano ai Verdi. Nel 2017 la Repubblica Federale tedesca era un Paese nero, del colore della Cdu/Csu. Stavolta emerge un quadro più complesso e variopinto. E una cosa è chiara: il dominio dell'Unione è infranto. Laschet resta leader, per ora.

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    2 - LASCHET SCARICATO, AL VIA LA FRONDA E INTANTO ANGELA RESTA IN SELLA

    Flaminia Bussotti per "il Messaggero"

     

    Armin Laschet non ci sta: non vuole rimanere con il cerino in mano, essere il capro espiatorio del disastro elettorale e allora tenta l'attacco, poi la resistenza e infine ammette: «Siamo al secondo posto».

     

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    Quello che sembrava evidente a tutti già pochi minuti dopo la chiusura dei seggi domenica sera, che la Cdu-Csu marciava verso una debacle storica, è diventato ieri anche per il candidato cancelliere cristiano democratico e leader Cdu una realtà. L'Unione Cdu-Csu ha perso le elezioni, i socialdemocratici (Spd) dello sfidante Olaf Scholz sono arrivati primi, anche se di misura, per circa un punto percentuale di vantaggio (25,7% contro 24,1%).

     

    Da qui a un nuovo governo, che si spera, ma nessuno ci crede, possa nascere per Natale, ne passerà di tempo. Nel frattempo, mentre i partiti si azzufferanno a negoziare poltrone e dicasteri, Angela Merkel resterà in carica assieme al suo esecutivo per il disbrigo degli affari correnti come vuole la formula istituzionale.

     

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    Sarà sempre l'eterna cancelliera, che aveva deciso dopo 16 anni al potere di non candidarsi più per un quinto mandato e di lasciare la scena, sarà appunto sempre lei a dominare la stessa scena, tanto in patria quanto all'estero, ad esempio a consigli europei e a tutti i prossimi incontri internazionali.

     

    La sera delle elezioni Laschet, nella sorpresa generale, aveva annunciato che avrebbe avviato colloqui esplorativi con i Verdi e i Liberali per una coalizione Giamaica nero-verde-gialla (Cdu-Csu, Verdi, e Liberali della Fdp).

     

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    LA RIUNIONE

    Il risultato è così stretto che non si può parlare di vincitori e in ballo c'è la stabilità del Paese e il futuro della Germania, argomentava. In effetti ci sono altri esempi di esecutivi formati da un partito arrivato secondo al voto. Eclatante il caso del cancelliere Spd Willy Brandt che nel 1969 formò una coalizione con i liberali anche se la Cdu-Csu era arrivata prima alle urne con circa il 48% contro il 43% (numeri da sogno oggi).

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    Nel caso di Laschet però si tratta di una sconfitta inappellabile, difficile da mascherare con ragionamenti capziosi. I numeri sono numeri e anche se è solo prassi, e non dettato costituzionale, che i colloqui esplorativi per un nuovo governo li conduca il leader del partito che ha ricevuto più voti, il verdetto delle urne è così schiacciante che non lascia dubbi: uno è uscito vincitore, Scholz, e l'altro sconfitto, Laschet.

     

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    Preso atto di ciò, alla riunione della direzione dell'Unione ieri mattina, Laschet ha aggiustato il tiro dicendo che non intendeva avviare subito colloqui esplorativi ma solo dopo, nel caso quelli di Scholz dovessero fallire. Nella riunione pare che siano volati gli stracci, diversi dirigenti hanno puntato il dito e dato sfogo alla frustrazione.

     

    Laschet, secondo il racconto di Spiegel, si è mostrato umile e ha ammesso: «Siamo al secondo posto», nessuna alzata di testa, ma lo scarto è di un solo punto e il governo si vota in Parlamento, con un solo voto di più Giamaica forse si può fare. Nella riunione sono volate parole grosse: chi ha parlato di «catastrofe» alle urne, di «perdita del senso della realtà», di «egotrip», e del pericolo che Laschet «vada a sbattere la testa contro un muro». Come prima mossa, alla riunione costituente di ieri sera del nuovo gruppo Cdu-Csu al Bundestag, Laschet ha deciso di rinviare la decisione sul nuovo capogruppo e di rinnovare pro tempore l'incarico a Ralph Brinkhaus. L'intenzione è chiara e serve a dargli tempo in attesa che si chiarisca la sorte della Cdu-Csu e anche la sua.

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