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    “MI HANNO DETTO CHE L’ASSUNZIONE SALTAVA PERCHÉ POTEVA ESSERE UN PROBLEMA” – I DATORI DI LAVORO ITALIANI SONO SEMPRE LUNGIMIRANTI! LA STORIA DI LAURA BISETTO, 28ENNE “IN TRANSIZIONE” CHE SI È RITROVATA IN DIVERSE OCCASIONI A PASSARE UN COLLOQUIO DI LAVORO E POI A VEDERSI RIFIUTARE QUANDO SPIEGAVA LA SUA SITUAZIONE: “ORA NON COMUNICO PIÙ LA NOTIZIA PER TELEFONO MA PER SCRITTO, COSÌ RIMANE TRACCIA”. ALLA FINE PERÒ, UN LAVORO L’HA TROVATO…


     
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    Alice D’Este per www.corriere.it

     

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    Ha passato il primo colloquio abbastanza facilmente ed è stata selezionata. «Porta i documenti, che ci incontriamo per firmare» le hanno riferito al telefono. Quando si fosse presentata in studio, però, Laura Bisetto, 28 anni, trevigiana avrebbe dovuto presentare la carta di identità non ancora adeguata alla sua transizione. «L’ho spiegato subito al telefono per evitare sorprese dell’ultimo minuto — dice lei — e mi hanno detto che vista la situazione dovevano fare un passaggio in più con la presidente. Risultato? Due ore dopo mi hanno detto che l’assunzione saltava perché la mia transizione poteva essere un problema». Laura Bisetto, classe 1993, è una giovane donna trevigiana in transizione e si è trovata diverse volte nella situazione di un’esclusione lavorativa proprio per questo.

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    Partiamo dall’inizio, ci spieghi come è iniziato il suo percorso.

    «Dopo il lutto di mia mamma nel 2018 e in corrispondenza del lockdown in cui ho avuto molto tempo per pensare in prospettiva alla mia vita ho trovato il coraggio per fare una cosa che avrei sempre voluto fare ma che era troppo complesso. Non sono mai stata confusa, mi sono sempre sentita una donna, anche da piccola. Ma non è facile in un ambiente come il Veneto o comunque in una piccola città affrontare la disforia di genere».

     

    Quando ha raggiunto la consapevolezza di lei?

    «In realtà molto presto, giocavo con le gonne di mia mamma, con i tacchi. Mi sono sempre sentita nel corpo sbagliato ma quando ero adolescente l’argomento era troppo complicato. Questa cosa della transessualità è un tabu. E anni fa lo era ancora di più perché l’immagine diffusa delle persone trans era spesso estremizzata. Avevo paura di un cambiamento anche io. Naturalmente avevo relazioni omosessuali ma quello era accettato già di più».

     

    Poi, durante il lockdown ha deciso che era arrivato il momento giusto.

    «Sarà che mi sono fermata, che ho avuto più tempo ma mi sono guardata allo specchio e ho scoperto che non mi riconoscevo più. C’è chi arriva a questo punto già alle superiori, io ho preso consapevolezza in quel momento. Grazie anche al supporto del gruppo Lgbt di Treviso ho iniziato un percorso psicologico. E lì mi sono accorta di una cosa assurda».

     

    Cioè?

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    «Mi sono resa conto con il percorso che stavo facendo che la disforia di genere era l’ultimo dei pensieri. Che avevo dubbi su mille altre cose, dal lavoro alle aspettative future, passando per i rapporti con la mia famiglia ma sull’identità, sul sentirmi donna non ne avevo affatto. Quella era quasi la parte più risolta di me. Anche per quello ho potuto cominciare quasi subito la terapia ormonale, che faccio da marzo 2021. Ho avuto il nulla osta quasi subito vista l’alta consapevolezza che avevo».

     

    La fa da un anno dunque.

    «Mi ha aiutato tantissimo a cambiare fisicamente. C’è proprio un passaggio forte quando segui questa terapia. Nel mio caso poi sono stata fortunata. Fisicamente ho avuto fortuna, il cambiamento è perfettamente riuscito tant’è che in molti non se ne accorgono nemmeno parlandomi».

     

    E torniamo ai colloqui proprio in quest’ottica.

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    «Ne ho fatti molti e hanno sempre funzionato bene. C’è stato un periodo in cui cercavo lavoro dopo aver lasciato l’azienda di famiglia e il mio curriculum passava sempre allo step successivo. Facevo un colloquio, spesso in presenza. E poi mi veniva detto che l’esito era positivo. Naturalmente a quel punto dovevo fare una precisazione, dovevo spiegare che il mio nome non corrispondeva a quello anagrafico e alla mia carta d’identità. E lì spesso saltava tutto».

     

    Ma perché lei è una persona trans?

    «Sì saltava per quello. Mi è capitato in una grande azienda ma anche in un negozio di abbigliamento in centro a Treviso. Mi hanno convocata, mi hanno mostrato il negozio, come se dovessimo partire la settimana successiva. La cosa ovviamente mi ha causato non poco dolore. Poi il dolore è diventato sconforto. Ora non comunico più la notizia per telefono, lo dico per scritto così rimane traccia del fatto che ero stata selezionata ma che mi escludono solo per questa ragione».

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    Dopo queste delusioni però ha trovato lavoro.

    «In questo momento lavoro nella segreteria di uno studio medico e mi trovo benissimo. Di fatto una persona dovrebbe essere assunta per il suo profilo lavorativo, non per altro. La discriminazione sociale fortunatamente non mi è mai accaduta».

     

    E nella sua famiglia?

    «Inizialmente non l’hanno presa bene. Finché mi consideravano omosessuale non c’è stato nessun problema. Mia mamma ha incontrato i miei ex suoceri, i genitori del mio compagno. Poi quando ho iniziato la transizione sia lei che papà non c’erano più. Le mie sorelle inizialmente l’hanno vissuta male. È stata dura all’inizio ma oggi sono le mie principali sostenitrici».

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