Mathieu Dejean per “Les InRocks”
cover lavori di merda
In “Boulots de merde!” (tradotto: lavori di merda), inchiesta sull’utilità sociale di certi mestieri, i giornalisti Julien Brygo e Olivier Cyran raccontano l’estensione dell’ambito lacchè e si interrogano sulla nozione ambivalente di “lavoro di merda”.
«Se confrontiamo i lavori di merda di qualche anno fa e quelli attuali, notiamo una grossa regressione» dice con amarezza Abel, 30 anni, fattorino in bici per una app che recapita pasti a domicilio. Per lui la degradazione delle condizioni di lavoro è palese: una volta c’era il buon vecchio “Mc Donald’s”, ora sei obbligatoriamente imprenditore di te stesso, senza alcuna protezione sociale. Peggio ancora, la degradazione ha colpito professioni un tempo protette, come il postino o l’infermiera.
I giornalisti, raccogliendo testimonianze di sfruttati e sfruttatori, sottolineano che “questo mercato del lavoro è strutturato secondo una sporca tendenza al deperimento dei mestieri che hanno forte valore sociale”. Come già diceva l’antropologo americano David Graeber nel 2013, gli impieghi attuali, in industria come in ufficio, hanno un deficit di utilità sociale
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ed è questo che fa sprofondare i lavoratori in una noia profonda. Il termine “bore-out”, indica proprio la mancanza di motivazioni, la sofferenza al lavoro per colpa della noia.
I lavori di oggi si focalizzano su un segmento limitato, se non addirittura marginale, e si sopravvalutano professioni nefaste e parassitarie. Proliferano contratti precari, compiti servili al servizio dei ricchi e tecniche manageriali che centrifugano la mano d’opera. Dal lustrascarpe al “personal shopper”, dal giornalista all’infermiera, non si salva nessuno.
CALL CENTER IN ALBANIA
Ad esempio gli impiegati da “Adrexo”, leader francese della distribuzione di volantini pubblicitari. Per 500 euro al mese questi poveracci percorrono migliaia di chilometri e distribuiscono tonnellate di carta, la cui destinazione finale è la discarica. Il tutto, sotto il regime di “pre-quantificazione del tempo-lavoro”, cioè il datore di lavoro quantifica a monte il tempo di lavoro che giudica necessario per portare a termine un compito. E spesso il lavoratore non può reclamare il pagamento di ore supplementari.
MANAGER
Gli autori fanno la lista di tutte le nuove strategie manageriali che rendono infernale la vita dei lavoratori, a partire dal “Lean management”, metodo che mira a minimizzare gli sprechi, riducendo le pause e dando la caccia alle respirazioni improduttive. Si pratica ad esempio al centro ospedaliero universitario di Tolosa (CHU) de Toulouse.
Grazie a una simile mercificazione i pazienti sono diventati clienti e le cure sono diventate tariffe. «Mi sento un robot. Anzi quando vedo i robot in marcia, li invidio» confessa un infermiere che lì lavora da trenta anni. La sofferenza quindi ha raggiunto anche i lavori indispensabili.
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Per gli autori del libro, essi stessi precari, il “Lean management” non è l’ottimizzazione della produttività ma un trucco astuto per ridurre il salario col sorriso e l’approvazione del lavoratore. Fingendo dialogo e consultazione, si degradano intanto le sue condizioni di lavoro. E’ la democrazia di impresa che ricorda quella parlamentare, quando ti chiedono ti votare l’uno o l’altro ma entrambi ti prenderanno a manganellate.