Elisabetta Andreis e Gianni Santucci per il “Corriere della Sera”
case di riposo
«L' epidemia può essere un cecchino, che uccide a intervalli costanti; uno, due morti al giorno per settimane - racconta un medico, cercando di darsi una spiegazione che non trova -. Oppure può entrare in una casa per anziani come un terrorista, e falcidiare quasi a raffica. Qui le abbiamo viste entrambe».
Quartiere Corvetto, via dei Cinquecento e via dei Panigarola, 200 metri di distanza, pochi passi che separano gli ingressi di due antiche residenze per anziani del Comune di Milano, strutture «gemelle»: la prima ad andare in sofferenza col contagio è stata la «Virgilio Ferrari», la «"Casa per coniugi" invece sembrava al riparo, meno colpita, chissà perché; poi però la strage è iniziata, è stata veloce e devastante», 53 decessi su meno di 200 anziani ospiti, più di uno su quattro, più dei 49 della residenza vicina.
pio albergo trivulzio
I morti al Corvetto sono solo una parte della catastrofe che le cronache milanesi del Corriere raccontano da giorni: dal 10 marzo a ieri, l' ondata del Covid-19 su Milano ha lasciato oltre 600 morti nelle residenze per anziani.
Testimonianza del signor Salvatore Nigretti, figlio di una donna ricoverata al Pio Albergo Trivulzio, la storica «baggina» dei milanesi: «Mia madre era ricoverata. Appena prima che chiudessero le visite, nella prima settimana di marzo, siamo andati a trovarla. Avevamo mascherine e guanti. Il caporeparto ci ha detto bruscamente di "togliere tutto per non allarmare i parenti, altrimenti non entrate". Siamo entrati senza protezioni».
Inizia tutto da lì, i primi 10 giorni di marzo: quello è il momento in cui il virus dilaga a Milano. In ritardo rispetto a Bergamo e Brescia, dunque con una maggiore possibilità di contenimento. Il Covid-19 s' insinua nelle Rsa perché si diffonde una generale e comune avversione all' uso delle protezioni (ne esistono testimonianze al Trivulzio, al «Don Gnocchi» - altro pezzo di storia dell' assistenza agli anziani -, alla «San Giuseppe» di via delle Ande, collegata al «San Raffaele», e in decine di residenze più piccole).
PIO ALBERGO TRIVULZIO
Le dirigenze smentiscono; i lavoratori denunciano (sono quasi una decina i fascicoli aperti in Procura), e servirebbe forse uno studio di psicologia della rimozione per spiegare perché i responsabili di strutture da «sigillare», per proteggere gli anziani, ingaggiano invece una sorta di «guerra» contro dipendenti e parenti che invocano responsabilità.
Succede al Trivulzio (oltre 110 decessi da inizio marzo), al «Don Gnocchi» (oltre 140 anziani morti), a Mediglia (64 morti), alla «Rsa San Giuseppe» (almeno 25 decessi), nella Rsa e nei laboratori di riabilitazione dell'«Auxologico», altra eccellenza della sanità privata lombarda. Un filo comune di incoscienza e sottovalutazione.
Nessuno alza dunque i primi argini, anche perché mascherine e camici mancano negli ospedali, «figuriamoci cosa potevano dare a noi», riflette un infermiere. Coglie un punto decisivo: le Rsa se le sono dimenticate tutti. Sono rientrate a fatica nel dibattito pubblico quando si sono trasformate in universi concentrazionari, focolai di contagio, infine cimiteri.
A inizio marzo la Regione decide che le Rsa possono ospitare pazienti dagli ospedali, dove serve liberare posti: non è un obbligo, ma la compiacenza di molte dirigenze scatena la corsa ad accogliere.
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«Al Trivulzio sono arrivati 20 pazienti da Sesto - racconta un medico -, per accettarli si sono fatti spostamenti, sono stati chiamati medici e infermieri, poi tornati ognuno nel proprio reparto. Questo è avvenuto in moltissime Rsa.
Mescolare così tanti sanitari e pazienti provenienti da strutture e reparti diversi, ad epidemia già scoppiata, è come mettere il virus in un frullatore, poi aprire il coperchio e farlo schizzare ovunque».
Francesco Maisto, garante dei «diritti delle persone fragili», riflette: «Da un primo esame si rilevano maggiori criticità nelle strutture di grandi dimensioni, mentre sembra che le strutture piccole, pur non ottemperando completamente alle ordinanze, si sono procurate i dispositivi di protezione per i pazienti ed il personale».
Ieri la Regione ha incaricato l' Ats di Milano di istituire una commissione di inchiesta sulle Rsa, il Comune ha nominato l' ex magistrato Gherardo Colombo.
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A metà marzo, dopo giorni di mascherine assenti o scoraggiate, iniziano le febbri. Degli anziani e del personale. Al «Golgi-Redaelli», altro pezzo di storia dell' assistenza a Milano, da metà marzo si contano oltre 120 pazienti «positivi», 25 decessi confermati Covid-19 su circa 60, una dozzina di medici e infermieri ammalati: ma anche due morti proprio tra il personale, due donne, 45 e 55 anni, una operatrice di una cooperativa. Su questo punto la Cisl attacca fin dall' inizio una battaglia durissima: «Abbiamo sempre chiesto mascherine e protezioni - spiega Rossella Del Curatolo - pretendiamo i tamponi.
Proteggere i lavoratori vuol dire proteggere i pazienti».
GHERARDO COLOMBO
Alcuni infermieri dormono «in struttura per paura di tornare a casa». Per settimane non succede nulla: il personale che si ammala costringe quello che resta a moltiplicare le ore di lavoro, e il rischio di portare il virus in giro (testimonianza dalla Fondazione «Martinelli» di Cinisello: «Hanno cominciato a isolare un' ala del reparto e istituito turni di 12 ore al giorno, anche di notte»). A Cormano, dopo 20 decessi, le diffide dei sindacati portano sanificazione, tamponi, protezioni.
Non esistevano protocolli, nessuno in Regione aveva considerato e ripassato il «piano pandemico» che prevedeva un' allerta immediata e un cordone di protezione per le case di riposo. Ultima voce dal Corvetto: «Qui prima quando un parente scriveva in Comune per uno scarafaggio arrivava l' Ats dopo due ore.
Quando chiamavamo perché ci morivano uno-due anziani a notte, per settimane, non ci hanno neppure risposto».
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