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    LE MANI CINESI SUI PORTI ITALIANI - UN ACCORDO FIRMATO DAL GOVERNO CONTE-1 HA CONCESSO UNA DELLE AREE PIÙ GRANDI DEL PORTO DI TARANTO, LA EX BELLELI, DI CIRCA 220 MILA METRI QUADRI, AL FERRETTI GROUP, CONTROLLATO ALL'85% DAI CINESI DI WEICHAI GROUP (SOCIETÀ PUBBLICA) PER UN INVESTIMENTO DI CIRCA 100 MILIARDI E CON LA PROMESSA DI CREARE 200 POSTI DI LAVORO DIRETTI - LA PRESENZA DI PECHINO A VADO LIGURE E L'OFFENSIVA SU TRIESTE - NEL MONDO QUATTRO COMPAGNIE - COSCO, MAERSK, MSC E CMA CGM - HANNO MOVIMENTATO NEL 2019 IL 41,9% DEI CONTAINER NEI PORTI…


     
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    Antonella Baccaro per “L’Economia - Corriere della Sera”

     

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    È guerra tra i big del trasporto marittimo delle merci. L'obiettivo è accaparrarsi i porti dove far approdare le navi-container la cui richiesta, dopo la fine del lockdown, è cresciuta esponenzialmente, creando un mega-ingorgo e facendo esplodere i prezzi. Un risiko nel quale i porti italiani sono coinvolti con risvolti geopolitici interessanti.

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    Basti pensare che la semplice voce delle mire di due gruppi cinesi sul porto di Palermo, diffusasi qualche settimana fa, ha generato allarme presso il governo e ha scatenato richieste di attivare il «golden power» da parte delle forze politiche sovraniste. Pechino resta lo spauracchio per l'Europa dopo la discussa conquista nel 2009 del porto del Pireo da parte di Cosco, uno dei colossi dello shipping della Repubblica popolare, nel periodo della peggiore crisi economica ellenica.

     

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    A distanza di 12 anni, il Pireo, eletto dalla strategia cinese Bel & Road Initiative come porto di riferimento del Mediterraneo, ha raggiunto 5,7 milioni di teu (twenty-fodd equivalent unit, l'unità di misura che prende come riferimento un container lungo sei metri) nel 2019, diventando il primo porto dell'area Med per i container. Del resto anche l'Italia si trova ad avere firmato nel 2019 un memorandum d'intesa con la Cina nell'ambito della stessa iniziativa, la Nuova Via della Seta, sia pure non in condizioni sfavorevoli come quelle greche.

     

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    Tra gli effetti di quegli accordi, sottoscritti dal governo Conte I, c'è la complessa operazione messa a punto sul porto di Taranto: la concessione demaniale di una delle aree più grandi del porto, la ex Belleli, di circa 220 mila metri quadri, al Ferretti Group, controllato all'85% dai cinesi di Weichai Group (società pubblica) per un investimento di circa 100 miliardi e con la promessa di creare 200 posti di lavoro diretti. Questa dell'ottobre 2020 (governo Conte II) è l'ultima iniziativa portata a termine dai cinesi mentre già gli americani rumoreggiavano.

     

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    Un mese prima erano riusciti a bloccare un tentativo simile da parte dei cinesi sul porto di Trieste, facendo saltare un memorandum d'intesa già firmato dalla China Communications Construction company con l'Autorità portuale. I cinesi sono invece dal 2016 stabilmente presenti a Vado Ligure con Cosco e Qingdao, insieme con i danesi di Maersk. Tornando a Taranto, l'investimento cinese sulla città non è il solo ad aver fatto discutere.

     

    aeroplani a bordo di una portaerei inglese aeroplani a bordo di una portaerei inglese

    Un'altra banchina di 1.900 metri è finita in mano ai turchi di Yilport Holding, controllata al 100% da Yildirim Holding che a propria volta possiede il 24% della francese Cma Cgn, al quarto posto nella classifica mondiale del trasporto container. Gli intrecci tra le varie società vanno tenuti presenti per capire le strategie che coinvolgono i porti italiani.

     

    Tra gli armatori esistono tre grandi alleanze: la 2M, che comprende la danese Maersk e la Msc dei fratelli Aponte (1.322 navi); la Ocean Alliance che mette insieme la Cosco, la Evergreen di Taiwan (che nel 2015 abbandonò il porto di Taranto) e la francese Cma Cgn, di cui abbiamo detto (1.200 navi). Infine c'è The Alliance, composta dalla tedesca Hapag Lloyd, dalla sudcoreana Hmm , dalla taiwanese Yang Ming e dalla giapponese One Ocean Network Express (643 navi).

     

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    E se tra quelli che abbiamo definito armatori emergono nomi di terminalisti (cioè coloro che acquistano le concessioni nei porti) non si tratta di un errore. Ci sono sempre più compagnie marittime che sono riuscite a svilupparsi verticalmente espandendosi nel business dei terminal, dunque movimentano le merci e poi gestiscono in esclusiva le banchine dei porti dove farli sbarcare.

     

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    Il fenomeno viene bene descritto da Confetra nel suo Almanacco del trasporto: nel mondo quattro compagnie - Cosco, Maersk, Msc e Cma Cgm - hanno movimentato nel 2019 il 41,9% dei container nei porti, contro il 29,7% registrato dieci anni prima. Al primo posto della classifica mondiale troviamo Cosco, che ha movimentato 109,8 milioni di teu, con un aumento nel decennio del 199,2%. Maersk è terza con 84,2 milioni di teu (+48%), Mediterranean Shipping Company sesta con 50,8 milioni di teu (+209,8%) e Cma Cgm ottava con 26,1 milioni di teu (+125%).

     

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    Sono cresciuti del resto anche i terminalisti «puri», ad esempio, la seconda società nella classifica mondiale è Psa (Singapore), che in dieci anni è cresciuta di trenta milioni di teu. In Italia nel 2020, il 41,41% dei contenitori imbarcati e sbarcati nei porti italiani è passato attraverso i terminal controllati da Msc che, dopo avere «occupato» il porto di Gioia Tauro, ha preso piede anche in quelli genovese e triestino.

     

    In quest' ultimo, a inizio anno, sono entrati i tedeschi di Hhla con il tacito accordo del governo italiano che non ha opposto il «golden power». Il secondo operatore in Italia è invece il terminalista «puro» Psa, che ha movimentato dal porto di Genova un milione 943 mila 965 teu. Al terzo posto un altro terminalista: Contship Italia, partecipata al 66,6% dal gruppo tedesco Eurokai.

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