Giusy Caretto per www.startmag.it
660 milioni di mascherine. Era questa la promessa fatta dal commissario Domenico Arcuri solo pochi giorni prima che iniziasse la fase 2. Mascherine, però, che al momento non si trovano.
DOMENICO ARCURI MASCHERINE
Gli imprenditori italiani che hanno riconvertito la produzione sono pronti ad inviare le mascherine all’estero (anche ad enti pubblici), non trovando conveniente vendere in Italia ad un costo più basso di quello di produzione, come ha svelato un servizio di Piazzapulita, programma di La7.
Andiamo per gradi.
LE PAROLE DI ARCURI
Partiamo dal ricordare le promesse. Nella conferenza stampa del 27 aprile, Arcuri annunciava un accordo con 5 aziende italiane (FAB, Marobe, Mediberg, Parmon e Veneta Distribuzione) per la “produzione di 660 milioni di mascherine chirurgiche” che sarebbero dovute arrivare nelle settimane di fase 2.
Con le aziende era stato concordato “un prezzo medio di 38 centesimi di euro al pezzo”, spiegava Arcuri, promettendo un prezzo massimo al pubblico di 50 centesimi più iva.
PRODUZIONE ITALIANA INSUFFICIENTE?
Che i numeri promessi da Arcuri siano stati troppo ambiziosi? Forse. “La produzione nazionale media arriva a 10-15 milioni di mascherine giornaliere. Non ci sono abbastanza macchine per produrre”, racconta un dipendente di un’azienda di Robbio, la Pakoff Global.
MASCHERINE ITALIANE ALL’ESTERO
DOMENICO ARCURI MASCHERINA
La Pakoff Global non è tra le aziende con cui il governo italiano ha fatto accordi. Le sue mascherine, prodotte in provincia di Pavia, sono pronte a decollare per l’estero. Perché non vengono vendute in Italia? Perché non conviene, economicamente parlando.
“Produciamo da 6 a 10 milioni di mascherine al mese, abbiamo già dei clienti che aspettano questo prodotto”; clienti esteri. “Si tratta anche di enti pubblici”, specifica Biagio Carà, Ceo della Pakoff Global.
“Non ho intenzione di fare soldoni in questa situazione”, ma “con l’Italia non faccio nemmeno i soldini”, ha aggiunto Carà a Piazzapulita.
VENTURATO: PREZZO DI ARCURI INACCETTABILE
Sì, perché il prezzo di vendita imposto da Arcuri è anche più basso del costo di produzione. “Produrre una mascherina mi costa 65 centesimi, è impensabile io le possa vendere a 50”, dice a Piazzapulita Federico Venturato, imprenditore del tessile che riconvertito la produzione. “Se ci fosse un prezzo equo le nostre mascherine potrebbero essere già in farmacia”, aggiunge.