Ernesto Assante per “la Repubblica – Affari & Finanza”
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Una decina di anni fa la sola di idea di aprire una casa discografica sembrava estremamente fuori moda e, ancor più, fuori mercato. L' industria musicale era al punto più basso di una crisi innescata dall' avvento del digitale e non si vedeva, all' orizzonte, una via d' uscita o, ancor peggio, una strada verso la rinascita. Poi è arrivato lo streaming e tutto è cambiato, il mercato è in netta ripresa l' interesse per la musica è in crescita ovunque.
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E se fino a poco tempo fa per un artista l' idea di firmare un contratto con una major sembrava quantomeno obsoleta, viste le possibilità enormi offerte dall' autoproduzione, della distribuzione digitale, dal social marketing. Oggi invece chiudere un "major-label deal" è nuovamente per un artista un obbiettivo primario. Così come aprire una etichetta musicale è diventato un affare interessante anche per moltissime aziende che producono altro ma che vedono nella musica uno strumento importante.
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È un fenomeno attivo dai primi anni Duemila, e ha visto più di una quindicina di grandi aziende, alcune multinazionali, che non hanno alcun interesse diretto nella musica, aprire le loro etichette discografiche, "una decina soltanto negli ultimi tre anni", sottolinea Music Business Worldwide, una delle principali testate informative del settore.
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Nel 2016 lo hanno fatto i marchi di moda Steve Madden e Vfiles, nel 2018 la catena di alberghi W ha lanciato la W Records, la compagnia aerea United Airlines ha iniziato a produrre e distribuire digitalmente musica, in particolare alcune interpretazioni della Rapsodia in blu di George Gershwin, mentre la casa di produzione cinematografica Bad Robot di J.J.Abrams ha aperto la sua etichetta Loud Robot.
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E inoltre durante quest' anno è arrivata la casa discografica dei produttori di giocattoli (anzi di orsi di peluche e dei loro accessori) Build-A-Bear, la-Build-A-Bear Records in partnership con Warner Music Group e Warner/ Chappell, mentre la linea aerea malese AirAsia ha da poco inaugurato la sua etichetta musicale in collaborazione con Universal Music Group, la Red Records, che si concentrerà sugli artisti emergenti dell' asian pop.
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Le aziende si muovono per due motivi essenziali: il primo è quello del marketing, per cercare di catturare l' attenzione del pubblico più giovane e collocare il loro marchio in un area più "cool" e interessante. Il secondo è la differenziazione, il cercare, con un marchio forte, di capitalizzare in altri settori: e quello della musica, dove il digitale sta mostrando una forza dirompente e positiva, offre certamente degli spazi in cui provare ad operare.
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Tra i primi a muoversi in quest' area, una quindicina di anni fa, sono stati i responsabili di Toyota, che avevano inaugurato la loro etichetta musicale, la Scion A/V, che fino al 2016 ha prodotto dischi, video musicali, documentari ed eventi, in molti generi musicali diversi, realizzando una Internet Radio con 17 canali, producendo ben 134 tra album, EP e singoli e lavorando con artisti del calibro di A$AP Rocky e The Melvins.
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Nel 2007 è arrivato il colosso del caffè Starbucks, aveva già acquisito nel 1999 una azienda musicale, con cinque negozi che vendevano CD, e che ha aperto la sua etichetta Hear Music, dopo aver già ottenuto un colossale successo da quasi 3 milioni di copie producendo una bellissima compilation di Ray Charles.
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In poco tempo molti grandi artisti hanno firmato con Hear Music, da Paul McCartney a Joni Mitchell, da Carly Simon a James Taylor, ma la crisi del CD ha trascinato con se le operazioni della nuova etichetta che dopo tre anni ha chiuso le operazioni. Procter & Gamble si è invece orientata verso l' hip hop e ha aperto nel 2008 in partnership con la Island Def Jam, la Tag Records che ha avuto vita breve, la Hard Rock Records è nata come costola del merchandising musicale dei bar, ma il progetto si è chiuso nel 2015, mentre Red Bull, con la Red Bull Records e Red Bull Music continua le sue operazioni con successo dal 2008.
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All' epoca il mercato delle case discografiche tradizionali sembrava decisamente più debole rispetto ai nuovi arrivati, che avevano la forza del marketing, dei marchi e del denaro necessario alla promozione. Negli anni seguenti la crisi del disco ha portato molte aziende a ripensare le loro strategie e solo in pochi, soprattutto quelli legati alle bevande alcoliche e agli energia drink, sono rimasti in pista. Dal 2016 in poi, invece, con l' avvento e il successo della musica digitale, tutto si è rimesso in moto e in molti grandi marchi hanno pensato di provare a sfruttare il loro nome per conquistare una fetta anche piccola di un mercato in costante crescita.
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La strategia dei marchi è oggi diversa: niente prodotti fisici, solo streaming, e possibilmente solo singole canzoni. Questo evita investimenti milionari sulla produzione e la promozione di album e dà più flessibilità contrattuale con gli artisti. I singoli, poi, sono degli eccellenti strumenti promozionali, fare in modo che un artista sia legato al brand è altrettanto importante, e la promozione del brano è allo stesso tempo promozione per il marchio stesso. Al punto che nessuna delle neonate etichette Kevin Johnson ceo di Starbucks Dietrich Mateschitz ceo di Red Bull
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