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    LE NOSTRE UNIVERSITÀ FANNO DAVVERO COSÌ SCHIFO? - LA MINISTRA MESSA PROVA A DIFENDERE IL SISTEMA ITALIANO, CHE HA APPENA PRESO IN FACCIA LA PORTA DEL REGNO UNITO, CHE NON DARÀ VISTI AGLI STUDENTI DEI NOSTRI ATENEI: "CHIEDERÒ SPIEGAZIONI DI QUESTA SCELTA. SIAMO PENALIZZATI DAI PARAMETRI USATI, MA DA NOI C'È QUALITÀ. ABBIAMO PREVISTO UN PIANO STRAORDINARIO DI ASSUNZIONI DI DOCENTI…"


     
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    Gianna Fregonara per il "Corriere della Sera"

     

    la ministra maria cristina messa 4 la ministra maria cristina messa 4

    Ministra Messa, la decisione di Londra penalizza fortemente i nostri laureati. Studiare in Italia, anche negli atenei migliori, non è un buon passaporto per l'estero?

    «Non generalizziamo. I visti per chi ha una proposta di lavoro o di ricerca, o per studiare all'università, non cambiano. I nostri atenei non sono compresi in questa graduatoria speciale, che non so quanto sia aggiornata rispetto all'ultimo anno.

     

    Ed è un elenco che si basa sui ranking universitari, dove ai primi posti ci sono atenei particolarmente forti e costosi per ragazzi e famiglie e dove il rapporto tra docenti e studenti è ben diverso da quello italiano».

     

    la ministra maria cristina messa 2 la ministra maria cristina messa 2

    Nei parametri dei ranking contano anche i finanziamenti per gli atenei. Su questo l'Italia non può misurarsi?

    «Anche gli altri Paesi europei hanno tutt'al più un'università in elenco. Anzi, per la Francia si tratta di un'École (Scienze e Lettere di Parigi, l'ex École normale supérieure) che fa parte del sistema d'élite. In Germania c'è solo l'Università di Monaco».

     

    E poi c'è anche la Svezia con la Karolinska di Stoccolma.

    «Anche in Svezia il sistema è diverso. Questi ranking si basano su criteri che per le università italiane sono difficili da soddisfare. Ma non vuol dire che non abbiamo studenti "high potential", cioè ad alto potenziale, come sono definiti dalla proposta inglese. Anzi, ne siamo pieni».

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    Ma il loro titolo, almeno per gli inglesi, vale meno. È giusto che un governo usi i ranking? Sono stilati da privati che tra l'altro possono offrire in alcuni casi anche consulenze agli atenei...

    «Che quella del governo inglese sia una decisione forte, è vero. Non so quanto questo poi rispecchi l'impatto che la misura può avere. Quanto ai ranking sono cresciuti soprattutto dopo l'ingresso nel mercato universitario degli atenei cinesi.

     

    Per storia e per struttura, noi siamo svantaggiati rispetto ai parametri che usano, anche se non abbiamo una qualità inferiore. Questo non vuol dire che non dobbiamo comunque lavorare per migliorare la nostra posizione nei ranking.

     

    BORIS JOHNSON BORIS JOHNSON

    Per questo abbiamo previsto un piano straordinario di assunzioni di docenti. Stiamo lavorando su attrattività, premialità, mobilità di professori e studenti e internazionalizzazione. Lo facciamo finanziando gli atenei e riformando alcune regole».

     

    È facile dire che il sistema universitario è sotto finanziato anche se stanno arrivando i fondi del Pnrr?

    «Il governo ha varato un piano di forte impatto di cui si vedranno presto i risultati. Ma già ora, nelle classifiche in cui le nostre università sono valutate con parametri più di dettaglio, per esempio a livello di dipartimento, ci sono eccellenze. Penso al Politecnico per Ingegneria e alla Sapienza per gli studi classici. Ricordiamoci che anche negli Usa, che sono premiati in questo sistema di visti eccezionali, ci sono le Università dell'Ivy League ma non le altre che sono in posizioni inferiori rispetto alle nostre. In Italia siamo passati da un sistema elitario a uno accessibile a tutti. È un'impostazione da difendere».

     

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    C'è anche in Italia, o nella Ue, un sistema di visti speciali in base all'Università?

    «No, il sistema dei visti riguarda i Paesi di provenienza. Credo che questa decisione del governo inglese sia una novità assoluta. Del resto siamo abituati a sorprese da parte loro... chiederemo la logica di questo provvedimento».

     

    Dopo la Brexit i problemi con il Regno Unito riguardano anche l'accesso alle università e gli accordi di collaborazione tra atenei.

    «Ci sono due temi caldi, dei quali ho già parlato con l'ambasciatore britannico. Uno riguarda il progetto "Best" che mappa le collaborazioni per la ricerca tra Italia e Regno Unito, il secondo è legato alla mobilità degli studenti. Londra è uscita dall'Erasmus e ha creato un nuovo progetto, Touring: spero che già dal prossimo anno accademico ci possano essere nuove collaborazioni tra università».

     

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