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    PENNETTA GRAFFITI - SERATA TRIBUTO PER LA TENNISTA AGLI INTERNAZIONALI, LA CAMPIONESSA IN LACRIME - LE NOTTI A BALLARE CON LA SCHIAVONE, LE ROSE DI FOGNINI - DJOKOVIC: “SEI SICURA CHE TI VUOI FERMARE QUI?” - LEI ESCLUDE LE OLIMPIADI - LA DOPPIA VITA DI VOLANDRI TRA RACCHETTE E TV


     
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    Gianni Clerici per “la Repubblica”

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    «Di che cosa scrivi? Di Volandri?» mi domanda un collega, passando vicino al mio banco. «Sei diventato patriota, proprio tu che sei mezzo svizzero ?». Confermo che sto scrivendo di Filippo Volandri, per varie ragioni umane che prescindono dal patriottismo.

     

    Volandri ha infatti intrattenuto gli spettatori del Campo Centrale per due ore, andando vicino a battere il primo dei secondi, come mi piace definire David Ferrer, uno che non batte (quasi mai) quelli che stanno davanti a lui, i campioni veri, e batte invece tutti i campioncini che stanno in classifica dietro al suo numero nove.

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    Filippo è un insolito esempio di chi cambia mestiere, diventando, da tennista professionista, un uomo che sostituisce all’attività muscolare quella intellettuale, se così mi si consente di definire una telecronaca. Telecronache che svolge con profitto, e con superiore competenza tecnica del telecronista standard, magari specializzato in quel che si chiama colore.

     

    Mentre seguivo Volandri tennista mettere in crisi, con i suoi lunghi cross di rovescio, il regolarista Ferrer, mi son venuti in mente alcuni episodi ai quali il destino professionale mi aveva consentito di assistere. Il primo era stato una vittoria al 3° turno su Federer nel 2007, proprio a Roma, che aveva fatto esplodere di entusiasmo il Centrale, e aveva addirittura richiamato i nomi di Pietrangeli e Panatta. I congegni contemporanei che sostituiscono la mia smemoria mi ricordano un’altra vicenda, del tutto opposta a quella gloriosa di Roma. Una sconfitta subita a Livorno, non soltanto città natia, ma sorta di “kinderheim”, visto che il papà di Filippo era il Presidente del Club.

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    Contro un gruppetto di dilettanti polacchi, i nostri, nel 2004, rischiarono un disfatta davvero vergognosa, ma ancor più crudele per chi, come Filippo, nel Club era cresciuto. Riuscì a perdere da certo Kubot, per 6-2 al quinto, Volandri, e capisco quel che dovette provare, rileggendo il mio articolo di allora, dopo che la sconfitta dell’Italdavis fu infine evitata da Potito Starace.

     

    Ultima vicenda che, da spettatore, condivisi con lui, la condanna per un doping che non esisteva, allo Australian Open. Volandri fu sanzionato a torto, perché aveva ecceduto nell’uso di un liquido nasale, del quale anch’io mi servivo, e che quindi mi parve lontano da ciò che si chiama doping. Fui, credo, il solo giornalista a scriverne, e non mi abbandona il senso di ingiustizia che provai. Ecco quanto mi è ritornato oggi in mente, assistendo al match Ferrer-Volandri, sul Centrale del Foro.

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    2. PENNETTA GRAFFITI

    Francesco Persili per Dagospia

     

    «Pennuccia, sei sicura che ti vuoi fermare qui?». Insieme a Djokovic se lo chiedono in tanti sulle gradinate del Pietrangeli vedendo Flavia Pennetta in lacrime. La serata-tributo al Foro per la brindisina vincitrice degli Us Open 2015 scatena un tornado di emozioni.

     

    C’è lo striscione che richiama il titolo della sua autobiografia: “Il tuo ritiro è un dritto al cuore”, ci sono gli autografi e le interviste di rito e non manca la video-celebration in cui le immagini delle sue vittorie si alternano alle parole dei colleghi. Prevale il rammarico di non vederla più in campo, Rafa Nadal lo ammette candidamente: «Non mi piace fare questo video per il tuo ritiro».

     

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    La prima tennista italiana a classificarsi nella prime dieci, la prima ad essere numero uno del mondo in doppio viene salutata con affetto dalle ex compagne di specialità Gisela Dulko e Martina Hingis: «Hai contribuito a riportare i sogni nella mia vita». E poi la tennista che ha vinto la battaglia dei sessi Billie Jean King («Just go for it, per il resto della vita»), Roberta Vinci («Mi resterai nel cuore per sempre»), Serena Williams che la considera un “punto fermo” e la Dementieva che le augura di avere tanti bambini ché «non c’è niente di più bello».

     

    Infine, Fognini, il suo promesso sposo, che la sorprende con un mazzo di rose: “Inutile che stia a dire la ragazza semplice che sei. Purtroppo mi dispiace che hai lasciato una parte di te ma non preoccuparti, adesso mi prenderò io cura di te”.

     

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    È il momento in cui le passa tutta la vita davanti: i titoli, gli infortuni, la voglia di non mollare mai, la fatica e i sacrifici dei genitori «che anche oggi si sono fatti 500 chilometri per essere qui». Come in uno dei suoi film preferiti, Dirty dancing: “Nessuno può mettere Baby in un angolo”. Flavia piange. Tocca a Francesca Schiavone provare a riprendere il filo: «A 16 anni era una bambina spaesata. Ricordo che la portavo a ballare. Ma alle 9 eravamo in campo a giocare. Col tempo quella ragazza è diventata più sicura e me la ritrovo il venerdì prima della finale dell’Us Open, che mi dice: ‘Questo sarà il mio ultimo Slam’. La rivedo grande. Una bambina che è diventata donna. Una collega che è diventata amica. Poi la vittoria, e voi non sapete cosa vuol dire vincere uno Slam”.

     

    Pennetta graffiti. Sport, emozioni, passione popolare. Dagli spalti qualcuno le chiede se andrà ai Giochi. «Nooo», la risposta della Pennetta sembra chiudere la questione. «Sono felice di questo nuovo momento della vita – aggiunge la campionessa azzurra – non è un addio ma un arrivederci». Perché poi bisogna saper trovare sempre il momento giusto per andarsene dalle feste. Mina, Battisti, Cantona insegnano che si può uscire di scena quando ancora tutti chiedono di te. Come ha fatto Flavia questa sera. Con un mazzo di rose e un sorriso dritto al cuore. Applausi. Brividi. Sipario.

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