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    LE NOTTI MAGICHE DI GIGI RIVA – “ROMBO DI TUONO” TRACCONTA L'UNICO SUCCESSO DELL'ITALIA ALL'EUROPEO NEL 1968: “HO PASSEGGIATO PER LE VIE DI ROMA IN FESTA. MI SONO INFILATO UN BERRETTO DI LANA PER NON FARMI RICONOSCERE. NON CERCAVO  IL BAGNO DI FOLLA. MA VOLEVO ESSERE IO A GUARDARE I TIFOSI GIOIRE PER IL NOSTRO SUCCESSO" - "L’ITALIA DI MANCINI? PARTE TRA LE FAVORITE" - ANCORA OGGI RIVA E’ IL MIGLIOR MARCATORE AZZURRO CON 35 GOL IN 42 PARTITE: “SPERO CHE IL RECORD RIMANGA” - VIDEO


     
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    Ugo Trani per “il Messaggero”

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    Le luci, i clacson e le bandiere. Al centro di Roma, in silenzio, si aggira Rombo di Tuono. Di sinistro c'è solo quello che ha fatto la storia del nostro calcio. È dell'uomo solo al comando dell'Italia di Valcareggi.

     

    E di sempre. Ancora oggi il miglior marcatore azzurro: 35 gol in 42 partite. «È stata la notte più bella della mia carriera, passeggiando per le vie di una città in festa per la nostra vittoria». Gigi Riva non fatica a ripercorrere quelle strade. Lo fa senza commuoversi. E senza presunzione. Gli scappa, invece, un sorriso divertito perché si gusta ancora le ore successive all'unico campionato europeo vinto dalla Nazionale.

     

    Riva, che cosa accadde quel 10 giugno del 1968?

    «Bellissimo, tutto bellissimo. La gioia dei nostri tifosi all'Olimpico, capaci di accendere i giornali e di illuminare il trionfo dell'Italia. Poi fuori dello stadio, in macchina e a piedi, per la grande voglia di festeggiare il successo contro la Jugoslavia. Indimenticabile».

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    Torniamo a quella sera?

    «Non mi fermai alla coppa. Decisi subito di stare in mezzo alla gente, senza però farmi vedere».

     

    Quindi?

    «Scappai subito in albergo e feci la valigia. Dovevo partire per Cagliari la mattina presto. Ma sapevo che non avrei dormito. Come dopo ogni partita. In stanza, occhi sgranati e sigarette senza sosta. Meglio uscire, dunque».

     

    Dove è andato?

    «Eravamo in ritiro al Parco dei Principi. Mi sono incamminato verso il centro, scendendo da via Veneto, soffocata dalle auto in fila, fino a Piazza di Spagna. Da solo, come piace a me. E per tutta la notte.. Alle 7 ero all'aeroporto. Tutta una tirata».

     

    Quanti autografi ha firmato?

    «E come? Non ero io in giro per Roma... Mi sono infilato un berretto di lana per non farmi riconoscere»

     

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     Come mai?

    «Non cercavo certo il bagno di folla nella Citta Eterna. Ma volevo essere io a guardare i tifosi gioire per il nostro successo. Ero curioso. E felice per loro».

     

    L'Europeo finì bene per Riva che rischiò di saltare il torneo. Giocò solo la finale bis.

    «La ripetizione fu la svolta: ero preoccupato. Non vestivo la maglia azzurra da sei mesi. Qualche infortunio aveva complicato il mio avvicinamento all'Europeo. Non stavo bene».

     

    Segnò 6 gol in 3 partite nelle qualificazioni e si fermò. Il settimo è quello della finale. Prenda per un momento il posto di Nando Martellini, quella sera telecronista Rai. Come è la sua telecronaca?

    «Ho stoppato in area, spalle alla porta, il tiro di Domingo. Mi sono girato e ho incrociato di sinistro. Buono, diciamo così».

     

    Perfetta. Anzi, quasi. Perché sul sinistro strozzato di Domenghini, ha ricevuto il pallone in posizione di fuorigioco. Lo sa che con il Var quella rete sarebbe stata annullata?

     «Quando si vince, ci vuole sempre un po' di fortuna. Spesso in azzurro mi è mancata, basta pensare ai gravi infortuni contro il Portogallo e l'Austria. Noi, comunque, eravamo un'ottima squadra. Con quel gruppo arrivammo, due anni dopo, alla finale mondiale in Messico. Ci arrendemmo solo al Brasile di Pelè».

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    L'Europeo è il top della sua carriera?

    «No. Meglio le due stagioni successive, la seconda è quella dello scudetto con il Cagliari».

     

    Nel 1969 finì dietro a Gianni Rivera nella classifica del Pallone d'oro, nel 1970 fu terzo dietro a Gerd Muller e Bobby Moore. È davanti per le reti azzurre, 35. Si sente il numero 1?

    «No. Spero solo che il record rimanga... Sono sempre stato umile, io. Ma in quegli anni si segnava molto di meno. Le reti erano quindi pesanti. E i difensori menavano di più. Io all'Olimpico uscii, in azzurro, l'ultima volta in barella prima di tornare per la coppa».

     

    Da dirigente, lacrime e coppe. Lasciando stare i Mondiali, quello perso a Pasadena contro il Brasile nel 1994 e l'altro vinto a Berlino contro la Francia nel 2006, ha vissuto anche il doppio ko proprio nell'Europeo: a Rotterdam contro la Francia e a Kiev contro la Spagna. Che cosa rimane di quelle esperienze?

    «In Olanda: rimonta e golden gol. Sconfitta dolorosa. Andammo bene anche nell'altra esperienza, a parte l'ultima partita. Grandi uomini e grandi giocatori in Nazionale. Come oggi».

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    L'Italia di Mancini è da finale?

    «Parte tra le favorite con la Francia, la Spagna, l'Inghilterra e la Germania, mai darla per finita. Roberto ha lavorato seriamente: l'Italia gioca e segna».

     

    Manca il Giggirriva. Non lo dirà mai.

    «Sono stato sempre vicino ai giocatori nei 23 anni in cui ho accompagnato la Nazionale nel mondo. Da Baggio a Totti e Cassano. Non divido buoni e cattivi proprio ora...»

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