Domenico Agasso per “la Stampa”
strage alla chiesa di owo in nigeria 7
«Tra le vittime dell'attentato nella chiesa di Owo in Nigeria ci sono feriti in condizioni gravissime: hanno già subito interventi d'urgenza e operazioni, ma continuano a perdere sangue per colpa delle pallottole. C'è chi è stato colpito alla testa, molti in altri punti pericolosi. Una donna ha il ventre devastato. Alcuni hanno bisogno di essere nuovamente operati». È la drammatica ma lucida testimonianza della suora infermiera Agnes Adeluyi, che sta lavorando per salvare le vite di quei fedeli sopravvissuti alla carneficina della domenica di Pentecoste.
strage alla chiesa di owo in nigeria
Nello stato di Ondo ieri è stato il giorno della conta dei cadaveri della messa assaltata dai terroristi: il bilancio ufficiale delle autorità locali si ferma a 21 trucidati, ma fonti legate alla diocesi assicurano che le persone assassinate sono oltre cinquanta. Numero che potrà salire, perché i corpi martoriati sono stati trasportati in vari obitori e tra i feriti c'è chi rischia la vita. Non c'è ancora una rivendicazione, ma gli occhi sono puntati sui pastori nomadi islamici Fulani e su Boko Haram.
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La Conferenza episcopale nigeriana esorta il governo a «intensificare gli sforzi per dare la caccia agli aggressori della chiesa di San Francesco Saverio». I vescovi avvertono che «in caso contrario si accelererà la caduta del Paese nell'anarchia». Invoca maggiore protezione e sicurezza anche Agnes, che appartiene all'istituto delle Suore di San Luigi a Owo.
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È impiegata all'ospedale San Luigi, dove sono stati accolti i fedeli «dilaniati per mano dei killer». La raggiungiamo dopo numerosi tentativi, al telefono la sentiamo indaffarata, nel sottofondo voci agitate e rumori indefiniti. Ci chiede di richiamarla perché in quel momento non può fermarsi a parlare. Racconta in inglese le difficoltà con cui stanno aiutando i pazienti: «Con noi ci sono soltanto quattro dottori. Siamo in condizioni complicate, sotto pressione.
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Il governo ha poi inviato altri tre medici per rafforzare un po' la nostra squadra. Assistiamo anche alcuni bambini, che ora stanno meglio». Domenica suor Adeluyi era in città, «in cappella per l'adorazione eucaristica, quando abbiamo sentito due esplosioni». Le religiose sono state informate della strage, e invitate a fuggire «ad Akure, nella nostra casa generalizia. Ma noi ci siamo subito dirette verso l'ospedale per dare una mano».
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Nel nosocomio in genere per le cure si paga, ma viste le condizioni eccezionalmente tragiche di queste ore «si è deciso che i costi saranno a carico della struttura». La speranza è di ricevere poi un sostegno economico dallo Stato: «Non abbiamo la corrente elettrica, usiamo i generatori», e le spese sono «sempre più ingenti». Suor Agnes riflette sul futuro, quando l'emergenza sarà finita ma il trauma continuerà ad aleggiare e a inquietare la vita quotidiana della gente, che dovrà convivere con il timore di morire ammazzati: «Non bisogna cedere alla paura, dobbiamo guardare alla vita. E noi cristiani tornare in chiesa senza troppa angoscia. Ma - ribadisce - serve anche il supporto dei governanti».
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Secondo don Mussie Zerai, fondatore della Ong Habeshia ed esperto di Nigeria, «questo attacco può essere un modo per fomentare conflitti tra religioni; o anche un messaggio alla Chiesa cattolica, che sta prendendo posizioni e assumendo impegni scomodi nella lotta contro la corruzione; ma credo che il vero grande movente sia sempre il potere economico, da ottenere attraverso la strategia del terrore che indebolisce ulteriormente la politica locale».
STRAGE IN UNA CHIESA IN NIGERIA
Zerai evidenzia che «la zona sud, dove è avvenuto il massacro, è la più ricca, ci sono i giacimenti di petrolio, risorse naturali e una florida agricoltura. Ecco perchè fa gola alle bande criminali». Intanto, nello stato di Kogi un altro prete è stato rapito: padre Christopher Onotu. In Vaticano il Papa «prega per la conversione di coloro che sono accecati dalla violenza», perché possano «scegliere la strada della pace». Lo comunica il cardinale segretario di stato Pietro Parolin in un telegramma alla diocesi di Ondo.-
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