Simona Lorenzetti per www.corriere.it
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«Qui non abbiamo una persona offesa, perché Vattimo è talmente soggiogato dall’imputato da versare in uno stato di totale dipendenza psicologica mista alla paura della solitudine e alla consapevolezza di non poter più provvedere a se stesso».
E ancora: «Non parliamo del passato, della sua indubbia capacità intellettiva, ma parliamo dell’oggi. Il povero Vattimo è vittima della sua stessa vita: siccome sei stato un grande filosofo del Novecento non puoi permetterti di avere problemi di vecchiaia che tanti hanno».
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Sceglie con cura le parole il pubblico ministero Dionigi Tibone per raccontare la fragilità di una delle menti più illuminate del secolo. Fragilità che — stando all’accusa — avrebbe permesso al compagno Simone Caminada di approfittarne per assicurarsi di essere l’unico erede dell’imponente patrimonio. La Procura, rappresentata in aula anche dal pm Giulia Rizzo, ha chiesto per Caminada una condanna a 4 anni di carcere: è accusato di circonvenzione d’incapace.
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Nel ripercorrere tutte le fasi del processo e della relazione tra la vittima e l’imputato, i pm hanno ricordato che Vattimo «è un uomo molto generoso» che ha sempre sostenuto economicamente le persone che gli erano accanto.
«Ma questa generosità gli è stata tolta. Come gli è stato tolto il cenacolo di amici. È vero — hanno insistito i pm —, Caminada ha messo in sicurezza i conti del professore: ma non per tutelarlo. Semmai, per garantirsi l’eredità». E in questo contesto è stato spiegato come si sia passati da una generosità «diffusa e indiscriminata» a un’altra «selettiva», «a senso unico», nei confronti di Caminada.
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E per assicurarsi l’eredità — secondo quanto ricostruito dagli inquirenti — l’imputato avrebbe isolato il professore, inducendolo a tagliare i ponti con quel gruppo di amici che fino a quel momento gli avevano garantito compagnia e sostegno. Lo avrebbe fatto in maniera sottile, arrivando a «ricattare moralmente» il professore: quando litigavano, «Caminada minacciava di andarsene».
«Non sparire», diceva Vattimo — nelle intercettazioni telefoniche catturate dagli inquirenti —. Sostenendo poi di essere disponibile a fare ciò che il compagno chiedeva. «Ecco la totale dipendenza psicologica — ha evidenziato il pm Rizzo —. Se il professore non faceva ciò che Caminada voleva, lui andava via e lo lasciava in tensione psicologica».
E sempre le intercettazioni racconterebbero l’interesse economico dell’imputato, che in molte occasioni si confronta con la madre. I magistrati hanno anche criticato il provvedimento con cui la Corte di Appello di Torino, nel 2021, ha revocato l'amministrazione di sostegno nei confronti di Vattimo.
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Nella prossima udienza sarà la difesa a parlare. Caminada ha sempre respinto le accuse. E Vattimo lo ha sempre protetto, difendendolo quando è stato chiamato a testimoniare: rispondendo al magistrato, ha infatti rimarcato che ciò che accade tra lui e Caminada «sono fatti miei». Per poi aggiungere, fuori dal tribunale: «Alla mia età credo di aver diritto a vivere come desidero. Credo che da parte della magistratura ci sia una forma di accanimento».
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Vattimo e Caminada si sono conosciuti in un contesto conviviale nel 2010. All’epoca il professore era europarlamentare, aveva bisogno di un autista e l’ha assunto. Con il passare del tempo il loro legame è diventato sempre più stretto e il giovane brasiliano ha iniziato a occuparsi di tutte le questioni pratiche concernenti la vita quotidiana del filosofo.
Ma nell’atto di accusa la Procura descrive Caminada come un approfittatore che avrebbe indotto Vattimo «a compiere azioni dannose per il proprio patrimonio e per i potenziali eredi»: bonifici intestati alla madre dell’assistente per importi superiori al suo compenso mensile; spese «ingiustificate rispetto al tenore di vita, che comportavano l’erosione del patrimonio per 60 mila euro».
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Non solo, Caminada avrebbe obbligato lo scrittore a sottoscrivere una polizza sulla vita da 415 mila euro di cui lui è beneficiario al 40 per cento, oltre a un testamento in cui lo nominava erede «disponendo in suo favore orologi, opere d’arte, quadri» e altri oggetti di valore, tra i quali un taccuino di Fidel Castro.
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Nonostante le accuse, Vattimo non si è mai separato dal suo assistente. «Non ho mai dubitato di lui. Anche se lo condannano, non lo mando via. Questo processo è accanimento», ha ripetuto più volte in questi mesi. Ma ora sarà il giudice a decidere se la tesi dei magistrati è corretta e se davvero una delle menti più brillanti del ‘900 sia stata plagiata dall’uomo che ancora oggi gli sta accanto.
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