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    LE SVISTE DELLE FEMMINISTE – IN UN LIBRO CHE CELEBRA I 50 ANNI DEL FILM PREMIO OSCAR “AMARCORD” SI RICORDA QUANDO LE “FEMMINISTAIOLE” SI SCAGLIARONO CONTRO FELLINI ACCUSATO DI MISOGINIA A CAUSA DI UNA “TRASFORMAZIONE CONSAPEVOLE DELLE DONNE IN SIMBOLO SESSUALE” – LA REAZIONE INCREDULA E RISENTITA DEL REGISTA: “IO ANTIFEMMINISTA? MA NON È POSSIBILE. SE C’È UNO CHE AMA LE DONNE, E NEI SUOI FILM AMA DAR RILIEVO PROPRIO AI PERSONAGGI FEMMINILI, QUESTO SONO IO” - VIDEO


     
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    “Amarcord story. Cronache e ricordi del capolavoro felliniano" di Nicola Bassano, storico del cinema e direttore del Fellini Museum per quasi un decennio, in libreria dal 6 dicembre.

     

    Il libro, che esce a cinquant’anni dall’uscita del film Premio Oscar “Amarcord” (18 dicembre 1973), mette a nudo l’anima del Paese negli anni Settanta, con i suoi difetti peggiori, a partire dal provincialismo e dal fascismo, fino al patriarcato e all’infantilismo maschile.

     

    È curioso quindi che, proprio a partire da questo film, il Maestro sia stato per anni bersaglio di una campagna denigratoria che lo ha visto accusato di misoginia e antifemminismo, a causa – si legge nel libro – di una «trasformazione consapevole delle donne in simbolo sessuale», in «un’operazione volta a deformarle e ingigantirle in modo da essere funzionali alla sessualità maschile».  Addirittura, per il giornale «effe», «Fellini è protagonista e vincitore della rubrica Un’antifemminista al mese».

     

    Aggiungo, infine, che nel volume sono presenti alcuni bozzetti tratti dal “Libro dei sogni” di Fellini e diverse foto scattate sul set, pubblicate per gentile concessione dell’Archivio Fotografico della Biblioteca Gambalunga di Rimini.

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    Estratti dal libro "Amarcord story. Cronache e ricordi del capolavoro felliniano" di Nicola Bassano

     

    (...) Le citazioni prese dal libro/sceneggiatura, uscito per Rizzoli a firma Fellini-Guerra:

    Pag. 13: «…volpina, una ragazza con occhi bianchi fosforescenti, come i felini, divorata dalla sua femminilità,

    selvatica, gattesca».

    Pag. 15: «… Evidentemente qualcuno le ha toccato il sedere» (Donna di nome Gradisca).

    Pag. 38: «Se voglio ti metto incinta con uno sguardo»

    (Sempre a proposito di Gradisca). Ibidem: «È quella di

    Zurigo. Mi dice: “ Vieni su subito che non ne posso più.

    Stop”» (Telegramma di una straniera, riferito dal destinatario romagnolo).

    Pag. 39: «La gente si assiepa per lasciar passare la carrozza, carica delle puttane della nuova quindicina».

    Pag. 44: «Cos’è il mio culo? La pila dell’acqua santa?»

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    (Detto dalla «donna di servizio» – locuzione degli sceneggiatori – al nonno che «tocca e ritocca»).

    Pag. 68: «Gradisca si avvicina al letto… Si sfila le calze… poi le mutande… Una volta nuda si distende sul letto, si tocca i capelli per sistemarli sul cuscino e con voce emozionata si rivolge al principe dicendo: “ Signor Principe, gradisca”» (Prostituta al servizio di un Savoia,anni trenta).

     

    Pag. 70: «Basti dire che in una sola notte sono arrivato a fare sette prestazioni, che è un record in Europa!» (Detta

    da un maschio felliniano).

    Pag. 71: «Quella è il mio amore dell’anno scorso. Cecoslovacca». Ibidem: «E questo è un amore, puro, puro. Mi ha concesso un’intimità posteriore. E io ne ho approfittato con

    delicatezza e tatto per non procurarle dolore. Infatti ho sempre con me questo tubetto di vasellina. Poco prima di spogliarmi nudo mi metto un po’ di pomata dietro l’orecchio. Se vedo che la signora è così innamorata da volermi concedere la prova fondamentale, allora fingo per un attimo di grattarmi l’orecchio, le tocco col pollice unto di pomata la parte in questione e procedo con sentimento e determinazione».

     

    Pag. 78: «…allunga una mano e la posa sulla cosciona della donna, stretta nell’elastico come una mortadella».

    Pag. 79: «Ginger Rogers – il culo della Gradisca – Le tette della tabaccaia» (Detto da due adolescenti che si stanno

    masturbando).

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    Pag. 82: «A questo punto la tabaccaia affonda una mano nella scollatura della camicetta e tira fuori dal reggipetto un seno, enorme, nudo, posandolo sulla faccia di Bobo. E

    mormora freneticamente: “Succhia, succhia”. […] Ma Bobo non riesce a respirare con tutta quella carne in faccia».

     

    Dopo aver esposto alcuni esempi del presunto armamentario antifemminista utilizzato da Fellini in Amarcord la Cambria lancia la sua invettiva; per il regista riminese non c’è assoluzione, la condanna oramai è stata pronunciata, non gli resta che rifugiarsi nei propri ricordi come farà il Marcello Snàporaz de La città delle donne:

     

    Nel momento in cui la critica cinematografica italiana (magari internazionale) celebra sia pure più stancamente che per altri film il rito dell’omaggio a Fellini, la pubblicazione, netta e cruda, di queste poche battute della sceneggiatura di Amarcord non pretende altro se non di identificare un antifemminista dei più subdoli, morbidi, e, perché no?, anche gatteschi (l’aggettivo vale pure per i maschi, signor Fellini). Che poi antifemminista significa antidonna: nessuno, infatti, che ami le donne e riesca a percepirle, quindi, nella complessità del loro «paesaggio» umano, potrebbe ridurle ai tre melanconici stereotipi felliniani: l’opulenta toccata, frugata, pizzicata (o, se magra – ipotesi rarissima – furibondamente vorace): la madre-moglie, vittima dolente, la fanciulla «pura», cioè per il maschio felliniano – da deflorare con tutti i sacramenti (matrimoniali).

    AMARCORD LA TABACCAIA AMARCORD LA TABACCAIA

     

    Che nel 1973, l’arte cinematografica italiana – e sia pure, nel caso, ormai intollerabilmente romagnola – s’impaludi ancora tra i quattro stereotipi della madre, della moglie, della fidanzata e della puttana, ci pare un segno di arretratezza culturale cui, secondo noi, non corrisponde nemmeno più tutta la realtà del paese.

     

    Senza voler fare qui del patriottismo femminile, vogliamo dire al signor Fellini che le donne in Italia (ed anche in Romagna), sia pur con fatica, con patimento, ma anche con un’allegria per lui – e ce ne doliamo – inconoscibile, stanno buttando al fuoco le quattro morte spoglie della mmfp. In quanto a Federico Fellini regista (artista) la coerenza del suo discorso anti-donna ci appare impeccabile: basti segnalare qui che, in 8 ½ – il capolavoro – le donne oltre i venticinque anni vengono soavemente (perché il maschio felliniano è soave, come il suo autore) spedite al piano di sopra. Maschio ormai avanzato negli anni, egli dovrebbe incominciare a preoccuparsi del suo proprio piano superiore. Né gli può valere di riscatto il personaggio di Gelsomina: la donna non è un clown, ma – semplicissima e tuttavia irricevibile verità – la donna è una persona.7

     

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    La reazione del regista è incredula e risentita:

    Io antifemminista? Ma non è possibile. Se c’è uno che ama le donne, e nei suoi film ama dar rilievo proprio ai personaggi femminili, questo sono io. Ci deve essere un errore. […] io sono profondamente emozionato di fronte a questo nuovo sentimento – risentimento da cui la donna si sente abitata. Seguo con solidarietà i segni del suo risveglio dalla soggezione, la timidezza, in cui per tanto tempo è rimasta prigioniera

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    (…)

     

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