1 - IL TAGLIO ALL'IRPEF DIVENTA UNA MANCIA
Francesco De Dominicis per "Libero quotidiano"
Quando un ministro viene (di fatto) sconfessato da un ufficio stampa, peraltro di un altro dicastero, allora capisci che il governo è allo sbando. Il ministro (del Lavoro) in questione è Giuliano Poletti e la smentita è del Tesoro. La faccenda ruota attorno alle promesse sull'Irpef del premier, Matteo Renzi. L'inquilino di Palazzo Chigi ha annunciato sconti fiscali in busta paga, a partire da quelle di maggio, per 80 euro (in media). Fino a ieri, l'idea - perché nero su bianco non c'è nulla - era un intervento sulle detrazioni per i redditi da 8mila a 25mila euro, in modo da garantire un beneficio medio annuo di mille euro netti.
Un'ipotesi tutt'ora in piedi, anche se complicata da attuare. Gli ostacoli sono legati alle coperture finanziarie: per varare l'incremento delle detrazioni servono 10 miliardi di euro l'anno, cifra che scende per il solo 2014 a 6,6 miliardi (perché si partirebbe da maggio). Gli interventi sulle detrazioni devono essere preferibilmente strutturali (cioè permanenti) e non «una tantum». Ciò, tuttavia, comporta la necessità di indicare fondi certi e duraturi. Di qui il «piano B» - indicato da indiscrezioni di stampa, confermato da Poletti e poi smantellato (senza successo) dall'Economia - secondo il quale gli 80 euro promessi da Renzi si materializzerebbero sui «cedolini» di maggio come «bonus» e non come sconti fiscali.
PADOAN FIDUCIA AL GOVERNO RENZI IN SENATO FOTO LAPRESSEUna differenza solo apparentemente formale che, probabilmente, ha due obiettivi non secondari. Anzitutto, rendere evidente, come voce separata dello stipendio, il «regalo» del nuovo esecutivo, in modo da trasformare l'apertura della busta paga in una rivendicazione elettorale. Non solo. Il secondo motivo che potrebbe spingere questa opzione è di natura finanziaria.
Col bonus, infatti, il governo potrebbe impegnarsi molto più facilmente a tempo determinato, magari creando un fondo ad hoc da alimentare progressivamente secondo le disponibilità di bilancio. Grosso modo quello che accade con gli stanziamenti periodici per la cassa integrazione. Un impianto di questo tipo, in sostanza, farebbe assomigliare il bonus di Renzi alla bistrattata social card creata qualche anno fa dall'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti: si mettono (temporaneamente) un po' di soldi in tasca ai lavoratori con reddito basso.
La differenza rispetto alla «tessera dei poveri», oltre alla platea, è lo strumento: il regalo arriverebbe direttamente sul conto corrente bancario e non in un chip elettronico. Per i lavoratori, però, avere la certezza di un aumento permanente - grazie al quale pianificare al meglio i bilanci familiari o gli acquisti, magari quelli a rate - è ben diverso dall'incassare un «obolo» che dopo pochi mesi potrebbe sparire.
La direzione finale potrebbe essere più chiara a ore, con il primo «Documento di economia e finanza» dell'era Renzi. Il Def deve essere approvato entro il 15 aprile, ma proprio le misure sull'Irpef impongono un'accelerazione. Si tratta dell'atto, da presentare a Bruxelles, col quale l'esecutivo indica le cifre macroeconomiche dell'Italia. Il dato chiave è la crescita del Pil 2014: Enrico Letta ha lasciato in eredità a Renzi un ambizioso più 1%. Ma da settimane quella stima viene tagliata sia da Confindustria sia dall'Unione europea. Ieri, il Fondo monetario internazionale ha confermato le previsioni più prudenti indicando il Pil in salita dello 0,6% quest'anno e dell'1% nel 2015.
MATTEO RENZI E LA BOMBA A ENRICO LETTAPessimo il confronto con la Grecia che ci affianca nel 2014, ma l'anno prossimo vola oltre il 2%. Se il Def confermerà queste indicazioni, cambierà gioco forza pure il rapporto tra deficit e Pil destinato ad avvicinarsi al tetto massimo del 3% dall'attuale 2,6% tendenziale. In pratica, si azzererebbe un «margine» di 6,4 miliardi (ogni 0,1 punti di deficit valgono circa 1,6 miliardi) che Renzi avrebbe potuto utilizzare per tagliare le tasse. Addio detrazioni, il bonus è inevitabile.
2 - NUOVO GUAIO- DALLE TASSE SUI RISPARMI 1,2 MILIARDI IN MENO DEL PREVISTO
Franco Bechis per "Libero quotidiano"
Se quella simulazione dovesse finire nelle mani del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, il barometro dei rapporti già non idilliaci con il governo di Matteo Renzi volgerebbe alla tempesta. Perché il servizio bilancio della Camera dei deputati ha provato a calcolare gli incassi per lo Stato di alcune misure poi annunciate dal premier durante la famosa conferenza stampa con le diapositive. E l'amara sorpresa è arrivata proprio sull'unica misura che dovrebbe finanziare il dossier più caro a Confindustria: la riduzione del 10% Irap a partire dal prossimo primo di maggio.
MATTEO RENZI AL TAVOLO CON BARROSO VAN ROMPUY HARPER HOLLANDE CAMERON OBAMA MERKEL E SHINZO ABESecondo Renzi quell'intervento che vale 2,6 miliardi sarà coperto dal contemporaneo aumento dell'aliquota sui capital gain dall'attuale 20% al 26%, con la sola esclusione dei titoli di Stato e dei conti deposito (questo ultimo chiarimento è stato fornito successivamente dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan). Ebbene, la simulazione fatta dal servizio bilancio della Camera dei deputati attribuisce al massimo 230 milioni di euro di incassi per lo Stato ogni punto di aumento dell'aliquota di tassazione delle rendite finanziarie così circoscritte.
Questo significa che i sei punti di aumento per ora solo ipotizzati sulla carta da Renzi fornirebbero su base annua alle casse dello Stato un miliardo e 380 milioni di euro, senza contare il possibile fenomeno elusivo che potrebbe provocare l'annuncio fatto ben prima che la norma sia varata (in passato queste decisioni sono state sempre apprese dalla Gazzetta ufficiale e magari pure smentite alla vigilia del loro varo).
C'è dunque un buco da un miliardo e 220 milioni di euro rispetto alla copertura del taglio del 10% Irap. Di fatto con quelle risorse - e sempre che non siano volati via i capitali nel frattempo - si coprirebbe una riduzione Irap di circa il 5%, che farebbe appena il solletico ai bilanci delle imprese e soprattutto suonerebbe come beffa dopo i trionfali annunci della vigilia.
RENZI E BARROSOIl calcolo del servizio bilancio della Camera per altro non è molto differente dall'unica simulazione effettuata ufficialmente dalla Ragioneria generale dello Stato: resta quella contenuta nella relazione tecnica al decreto legge dell'estate 2011 con cui Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti decisero l'aumento dell'aliquota sui capital gain dal 12,5 al 20%.
All'epoca la Ragioneria generale dello Stato calcolò per quei 7,5 punti di incremento a regime qualcosa in meno di 1,9 miliardi di euro di incassi a regime. Per ogni punto di aumento era ipotizzato quindi un incasso vicino ai 250 milioni di euro. Da dove derivino allora i calcoli di Renzi che oggi pensa di incassare per ognuno di quei punti di aumento almeno 433 milioni di euro.
Il miliardo abbondante di euro di buco sulle norme per le imprese si unisce alle coperture più che ballerine che in questo momento dovrebbero finanziare i famosi 80 euro medi in busta paga in più promessi agli italiani che guadagnano meno di 25 mila euro lordi a partire dal mese di maggio. Dalla conferenza stampa di Renzi in poi si sono infatti aperte falle e voragini in quei piani.
TREMONTI social card fonte googlePer prima cosa è stato subito evidente che i 10 miliardi di spesa prevista escludono dalla platea dei beneficiari i cosiddetti incapienti: quelli che guadagnano meno di 8 mila euro all'anno, i più poveri di tutti. Poi di fatto non esistono più le coperture ipotizzate dal commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, perché non avendo adottato nemmeno un provvedimento legislativo, è impossibile che possano funzionare dal mese di aprile e difficilmente consentiranno risparmi anche a maggio: nella migliore delle ipotesi potranno arrivare da quella voce 2,5 miliardi di euro nel 2014.
social card fonte ANSA