1 - GIOVANI E CREATIVI, È FUGA DALLA RUSSIA IL PUGNO DI FERRO CONTRO LE PROTESTE
Fabrizio Dragosei per il “Corriere della Sera”
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La chiamano oramai «La grande fuga» perché l'alternativa è essere licenziati per aver espresso la propria contrarietà alla guerra che non si chiama guerra o finire nelle mani della polizia per essere scesi in piazza. Ieri in centinaia hanno fatto vedere e sentire il loro dissenso e sono stati afferrati in malo modo e trascinati da agenti in tenuta antisommossa (quasi mille i fermati; quindicimila dall'inizio della guerra). Una donna aveva semplicemente pensato di passeggiare per le vie del centro di Nizhny Novgorod con un foglio bianco in mano.
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Niente da fare, è stata agguantata e portata via. Il nuovo simbolo della protesta è un nastro verde, forse perché zelyonij (verde) ricorda il nome di Zelensky. Allora chi può, chi ha ancora la speranza di ricominciare una vita, se ne va. La Russia che non può esprimere il suo voto nell'urna, visto che, secondo l'opposizione, le elezioni sono falsate, sta votando con i piedi.
In auto o treno verso i Paesi baltici e la Finlandia; in aereo chi può permetterselo. I fortunati che avevano ottenuto un visto Schengen per turismo scelgono l'Europa, ma naturalmente passando per altri scali perché i voli diretti sono tutti bloccati. Gli altri puntano su Stati che ammettono i cittadini della Federazione russa senza richiedere il visto. I ricchi, quelli che hanno già pensato per tempo ad accumulare quattrini all'estero, guardano agli Emirati Arabi che non fanno nemmeno troppe domande sulla provenienza del denaro trasferito nelle loro banche.
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La gran massa va nelle ex repubbliche sovietiche «amiche» che hanno accordi di libera circolazione in base ai vecchi trattati sottoscritti dopo lo scioglimento dell'Urss nel 1991. Perfino la Georgia, con la quale Mosca è stata in guerra nel 2008. «Sono almeno 25 mila i russi entrati in queste due settimane», dicono le autorità di Tbilisi. Ma anche Kirgizistan, Armenia, Uzbekistan. In tutti questi Paesi, tra l'altro, si parla comunemente russo.
Altre mete verso le quali si stanno dirigendo grandi flussi di persone che non vogliono avere più nulla a che fare con Vladimir Putin e con i suoi luogotenenti sono il Messico, la Turchia e la Serbia. Belgrado accoglie a braccia aperte i russi, soprattutto se hanno una specifica formazione tecnica. E poi il serbo è pur sempre una lingua slava e farsi capire non è un gran problema. A nord si entra direttamente in auto in Estonia e Lettonia, sia pure con qualche problema. Tantissimi, da Mosca e da San Pietroburgo, puntano sulla Finlandia che si raggiunge pure in treno.
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Quattro ore dalla capitale a Piter e poi si sale sull'«Allegro» delle ferrovie finlandesi che assicura due collegamenti quotidiani (la domenica sono tre). Inutile dire che i convogli sono gremiti verso Helsinki e vuoti al ritorno. Sul treno adesso possono salire solo cittadini russi e finlandesi. «Stiamo perdendo i migliori talenti, le persone più dinamiche. Sembra la ripetizione del 1917», dice la cinquantenne Alla Magnitskaya che non se ne può andare da Mosca perché deve assistere i genitori malati. Non possono lasciare la Russia nemmeno due milioni e mezzo di silovikì , vale a dire militari, poliziotti e agenti dei servizi segreti. Per motivi di sicurezza nazionale a loro è vietato da anni l'espatrio.
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2 - LA RUSSIA LA PAURA DI CHI VUOLE EMIGRARE "OGGI ALL'ESTERO CI ODIANO TUTTI"
Francesca Sforza per “la Stampa”
Chi può se ne va. E in tanti se ne sono già andati: Istanbul, Dubai, Atene. Poi però ci sono quelli come Cyril, che non si chiama così perché nessuno a Mosca racconta più niente con il suo vero nome, anche se vuole che la sua storia si sappia, e infatti la scrive in una delle tante chat su Telegram che si sono accese in Russia come fiammelle alle finestre (era così che in Belarus dimostravano il dissenso, non potendo più scendere in strada senza finire in carcere). «Io e la mia famiglia abbiamo pensato a emigrare - scrive Cyril - ma non c'è nessun posto dove andare. Dove si può andare se poi non ci puoi stare? Tutti odiano i russi adesso, sarà solo più difficile tornare».
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Anche Olga, che fa il notaio a Mosca (non è la stessa cosa che fare il notaio in Occidente, in Russia i notai sono qualcosa a metà tra i ragionieri e gli amministratori di condominio) non se ne può andare: «Dovevo partire prima, mentre stavo ancora portando a termine gli studi, ma allora non ne ho avuto la forza. Adesso ho mia mamma che ha avuto un ictus e un bimbo piccolo di cui occuparmi. E anche un lavoro di cui nessuno all'estero ha bisogno: che possibilità avrei?».
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Chi è istruito e ha un buon lavoro (ma non buonissimo) oscilla di continuo nel dubbio se partire o restare. Ivan, che lavora all'università di Yelets, scrive che stava pensando di andarsene, ma non si è sentito a posto con la sua coscienza: «Ho una figlia che vive qui, e la tomba di mia mamma». In alcune famiglie si litiga, c'è chi vorrebbe fuggire e chi no. Come a casa di Marina, che lavora in una galleria d'arte a Mosca: «Vorrei andarmene, ma mio marito è contrario, dice che all'estero senza sapere le lingue e avere delle competenze particolari non troveremmo mai un lavoro. I nostri genitori sono qui e a casa abbiamo una nonna di 92 anni che ha bisogno di essere curata. Come faccio ad andarmene senza la mia famiglia? Sento che andrà tutto molto male, che tornerà la povertà, i banditi, forse una guerra civile. Abbiamo una piccola dacia fuori città - aggiunge - forse andremo lì, ho rinunciato a realizzarmi nel mio lavoro. Quando c'è la guerra nessuno ha più bisogno dell'arte».
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Altre famiglie invece si spezzano: «Sono il figlio maggiore - racconta Sergey - mio fratello lavora all'estero, i nostri genitori sono anziani, hanno bisogno di cure, ed è giusto che il più giovane viva in un Paese libero e quello più anziano in uno totalitario». Tra le paure più grandi dei russi c'è quella di non riuscire a trovare più le medicine per i loro malati: circa il 55% dei farmaci venduti in Russia sono importati, e quelli che sono prodotti in patria hanno bisogno di sostanze di importazione per almeno l'80%. Ci si aspetta interruzioni di forniture, scaffali vuoti, malattie che non si possono curare.
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E se gli anziani sembrano più rassegnati - ma anche forse più capaci di immaginare il futuro, perché è il loro passato, sanno già come sarà - per i più giovani sembra solo un brutto film: «Ho 30 anni - scrive Liza - vengo da una piccola città della Siberia. E solo di recente ho iniziato a vivere, e non a sopravvivere: mangiare cibi deliziosi, comprare cose buone, fare qualche viaggetto con mio marito E ora il mio Paese mi sta gettando di nuovo nella povertà».
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Ruslan vorrebbe andarsene in Georgia, o in un altro Paese della Cis, «ma ho 22 anni, sono in quell'età stupida in cui ho già dei risparmi ma non bastano per mollare tutto e andare a vivere in un Paese in cui non so quando potrò lavorare. Poi ho paura di lasciare mio padre e mia nonna che vivono a Samara. Se la pensione di nonna non sarà più sufficiente ci dovrò pensare io, forse arriverà la fame». Ruslan scrive anche un'altra cosa: «In fondo, non voglio andarmene, questo è il mio Paese, credo che possiamo cambiare qualcosa, soprattutto ora che il regime sembra più vulnerabile».
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E' la stessa cosa che pensa Oleg: «Sì, è vero, adesso un nonno impazzito (sono in molti a chiamare così il presidente Putin) rende la vita in questa casa molto peggiore. Ma so perfettamente che la Russia non è lui. La Russia siamo noi. Quando tutto sarà finito ci sarà molto da fare per ricostruire. Voglio essere tra quelli che lo faranno, voglio aspettare l'alba in Russia. Credo che dopo una notte così dura, l'alba che stiamo aspettando sarà incredibilmente bella».
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