Anais Ginori per “il Venerdì - la Repubblica”
HENRY LEVY
PARIGI. «Sarebbe stato un bello scatto, vero?». Bernard-Henri Levy scherza con il fotografo dopo che un uccellino si e posato per qualche secondo sulla sua gamba. Seduto nel giardino di un albergo vicino agli Champs-Elysees, Levy trasmette una sensazione di controllo assoluto della sua immagine, mantiene una certa distanza anche se poi ci tiene ad avvicinarsi per stringere la mano, onorando «quel gesto di fraternita che fa parte della nostra civilta».
Non c’e bisogno di un test sierologico per sapere che il filosofo e giornalista e immunizzato dal Covid, o almeno dalla psicosi che ha accompagnato il virus. «Sono stato raggelato dall’epidemia di paura» dice Bhl, 72 anni, ricordando i suoi articoli pubblicati da marzo su Stampa e Repubblica per allertare contro quello che vedeva come il rischio di una straordinaria sottomissione collettiva, un eccessivo potere medico, l’avvento di un nuovo igienismo. Se la missione di un intellettuale e anche scuotere le coscienze, aprire il dibattito, Levy ci e riuscito.
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Il suo ultimo pamphlet, Il virus che rende folli (La Nave di Teseo), e gia un bestseller Oltralpe e fara discutere anche in Italia. Abituato a fare incursioni nelle grandi tragedie umanitarie, per raccontare l’ultima crisi internazionale non ha avuto bisogno di muoversi dal suo appartamento parigino. Gli e bastato accendere la televisione, ascoltare i dibattiti durante il lockdown sulla sacralizzazione della vita e le utopie del mondo post-Covid, mentre secondo lui pochi riflettevano sul costo di «un coma autoinflitto alla quasi totalita del pianeta, trasformatosi nel laboratorio di un’esperienza politica radicale».
Bernard Henry Levy - Il virus che rende folli
Perche cosi pochi intellettuali hanno espresso una voce critica?
«E sicura? In Italia c’e stato Agamben. In Francia, Comte-Sponville. Negli Stati Uniti, Timothy Snyder. C’e un vero e proprio moto di rivolta contro il tipo di ordine sociale che sta uscendo dalla crisi del Covid».
Siamo reduci da quella che lei definisce «Prima paura mondiale»...
«Per la prima volta l’umanita intera ha avuto paura della stessa cosa, nello stesso momento. Ovviamente gioco sul riferimento alla Prima guerra mondiale, anche se e vero che siamo in grande pericolo. Possiamo morire di Covid, ma anche di fame, di miseria, di disperazione, di solitudine e di tutte le altre malattie piu antiche che gli ospedali non hanno piu avuto tempo di curare».
E adesso, e finita?
«Vorrei che questa fosse anche l’ultima paura mondiale. So che i virus torneranno, il Covid o un altro, perche fanno parte della storia dell’umanita. Ho scritto questo libro in modo da essere piu preparati la prossima volta».
HENRY LEVY BERGOGLIO
Immagino non si riferisca a mascherine e tamponi.
«No, parlo di preparazione intellettuale e morale. Spero che la prossima volta saremo capaci di reagire con meno isteria, piu sangue freddo».
Questa reazione e il sintomo di qualcosa di piu profondo?
«Prima del Covid vivevamo in un sogno post-umanista dove quasi tutto era curabile. Stavamo assistendo all’espulsione del Tragico dalle nostre vite. E invece il Tragico e riemerso attraverso il virus».
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Cosa ha pensato quando l’Italia ha scelto il lockdown, primo Paese in Occidente?
«Sono rimasto sorpreso. Gli italiani ne hanno passate tante: le Brigate Rosse, gli attacchi della mafia... Tanto orrore quotidiano che non ha mai impedito di uscire, continuare la vita. Questa volta gli italiani sono stati docili. Hanno accettato di restare a casa senza fare storie ne sgarrare. E come se fosse nato un nuovo patto sociale: scambiamo la nostra liberta per la massima sicurezza sanitaria».
Un patto che lei rifiuta?
«Il lockdown era necessario. In Francia, naturalmente, l’ho rispettato. Non credo pero in questa “sicurezza sanitaria”. Non credo che la salute sia lo scopo della vita».
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La paura della morte e della malattia... non la prova anche lei?
«Tocca anche me ma lo scopo della vita e altrove. E l’amore dell’altro. L’amore tout court. Il pensiero. Cambiare il mondo».
Lei cita la frase «Il miglior medico del mondo andra all’inferno». Che cosa vuol dire?
«E una frase del Talmud. Il miglior medico e un esperto nel trattamento dei corpi ma e cosi esperto che si preoccupa solo di quello. E dimentica quel fascio di luce, quel lampo che ci attraversa e fa si che un corpo prenda vita, diventando un soggetto singolare. Ecco perche quel medico va all’inferno».
Critica la professione medica?
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«Mi infastidiscono i chiacchieroni, e rendo omaggio a coloro che hanno prodigato le cure. Le infermiere e gli infermieri che facevano il loro lavoro negli ospedali erano ammirevoli. I medici che hanno invaso le televisioni e giocato a fare gli oracoli avrebbero fatto meglio ad astenersi».
Sia in Italia che in Francia, i governi hanno spesso preso decisioni politiche solo dopo aver ascoltato il parere di un comitato scientifico.
«E ridicolo. Il comitato scientifico non sapeva tutto. E poi, cosa ancora piu importante, c’erano altre persone che sapevano. Gli psicologi. Gli esperti di scienze sociali. I sindacalisti. I rappresentanti dei disoccupati. Le ong che si occupano di migranti».
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Si poteva affrontare l’emergenza in modo diverso?
«Ripeto: avremmo dovuto ascoltare anche opinioni diverse da quelle dei medici che facevano il giro della Rai o BfmTv. E poi probabilmente era necessario un lockdown meno brutale e piu differenziato».
I tedeschi hanno fatto cosi. Alla fine sono stati meno pazzi di noi?
«Hanno preso meno rischi».
O piu rischi?
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«Cito il padre dell’anatomia patologica Rudolf Virchow, che disse: “Un’epidemia e un fenomeno sociale che ha alcuni aspetti medici”. Dal punto di vista sociale, cio di cui mi occupo, abbiamo rischiato molto. Un mondo in cui non ci stringiamo piu la mano, in cui non seppelliamo piu i morti, in cui diffidiamo l’uno dell’altro, va verso una regressione della civilta».
Molti dei sacrifici imposti sono serviti a proteggere le persone piu fragili. Non e un segno di solidarieta?
«Mi piacerebbe pensarla cosi se non fosse che questa solidarieta ha escluso tre quarti dell’umanita. L’umanesimo, o la fraternita, deve essere senza frontiere, altrimenti non esiste. In Francia ci sono stati bei gesti di solidarieta ma anche un’epidemia di delazioni».
Lei scrive : abbiamo avuto la scelta tra vivere alla cinese, o morire.
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«La Cina ci ha imposto un modello problematico, il confinamento, e un altro, ancora piu folle, il tracciamento. A un certo punto si diceva “tracciare, testare, isolare” quasi come si dice “liberte, egalite, fraternite” ».
Scarichera l’app StopCovid, l’equivalente del nostro Immuni?
«Certo che no. Non c’e motivo per cui debba essere costantemente spiato da cosiddette brigate di angeli custodi».
Si tratta di un sistema volontario per aiutare a fermare l’epidemia nel caso in cui dovesse ripartire.
«E io continuo a dirle che salvare vite e bene. Ma la vita libera e ancora meglio. Ci deve essere un modo per combattere una pandemia senza cadere nella trappola dello stato di sorveglianza sanitaria».
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I primi aerei che portavano mascherine e aiuti all’Italia arrivavano da Cina e Russia. E l’Europa?
«E stato un momento doloroso. Ma da allora, con il piano Merkel-Macron, l’Europa ha recuperato».
Quanto sono lontani dall’Europa gli Stati Uniti in questa crisi?
«E la prima volta nella storia della modernita che non ci aspettiamo nulla dagli Stati Uniti. Di conseguenza, i bastardi hanno potuto tranquillamente avanzare le loro pedine. E quello che hanno fatto Orban, Putin, Assad. E noi ora dobbiamo affrontarli da soli, senza gli Stati Uniti. Cio che succede all’Europa, a Trump non frega nulla».