Wlodek Goldkorn per l’Espresso
mein kampf
Quando si tenta di ragionare su un’ideologia che condanna a morte un’intera categoria di persone, non per una colpa, ma perché la stessa memoria e storia di quella categoria sono considerate fonte di contaminazione dell’umanità e quindi devono essere cancellate; quando insomma si riflette sullo sterminio degli ebrei da parte dei tedeschi, è utile leggere “Mein Kampf”? La risposta non è affatto scontata. Dopo la sconfitta della Germania, nel 1945 un soldato americano, in un gesto che non era solo simbolico, gettò nelle fiamme le matrici di piombo ?del pamphlet di Adolf Hitler.
HITLER
Di questo testo nel 2015, a settant’anni ?dalla morte del Führer i diritti d’autore, in mano ?al Land di Baviera, sono scaduti. Ecco dunque ?che in Germania ne è stata pubblicata un’edizione critica (in molti paesi il testo gira liberamente ?e selvaggiamente) a cura dell’Istituto di storia ?di Monaco, con un apparato di note e spiegazioni minuzioso. E anche questa iniziativa è stata criticata da alcuni. Ora Mimesis manda in libreria ?la traduzione in italiano di una nuova edizione ?di “Mein Kampf”, basata sul lavoro dell’équipe tedesca. Curatore ne è Vincenzo Pinto, storico delle idee, animatore dell’associazione Free ebrei.
hitler
Pinto non ha tradotto, alla lettera, l’edizione originale, ma l’ha usata come uno strumento utile per costruire ?a sua volta un apparato di note, sinossi dei singoli capitoli, glossario e via elencando. Un’iniziativa utile? Probabilmente sì. Perché rende più facile, per chi volesse penetrare la mente ?di Hitler, capire quanto “Mein Kampf “non è solo ?il frutto di un delirio paranoico. Uno degli enigmi ?del Male radicale è appunto la sua apparente razionalità e sconcertante banalità.