Laura Cesaretti per "il Giornale"
Enrico Letta
A rompere il muro del silenzio dem sul ddl Zan è un senatore cattolico piemontese, Mino Taricco. Non ha nascosto in queste settimane, nelle discussioni interne, le sue forti perplessità su alcuni punti del provvedimento anti-omotransofobia, e ieri ha deciso di renderle pubbliche. Anche per spingere il suo partito a non asserragliarsi nella trincea «o così o niente» e ad aprire a modifiche che possano allargare il consenso parlamentare.
«Rimango convinto che l'attuale testo presenti criticità e necessiti di correzione su alcuni punti più sensibili. Credo ci sia tutto il tempo per migliorarlo, e che dovremmo sentire tutti la responsabilità di farlo. Alzare muri contro ogni possibilità di dialogo e miglioramento rischia di far approvare una legge con elementi negativi o di portare al suo affossamento definitivo».
Come Taricco la pensano in diversi, nel gruppo pd al Senato, ma la linea imposta dal Nazareno è rigida. «Basta giochetti», come dice Andrea Orlando. Chi esprime dissenso e chiede modifiche fa «il gioco di Renzi e di Salvini», volutamente appaiati per assimilarli moralmente. «Salvini sta con Orban e le sue leggi omofobe. Come si può dar credito alle sue presunte proposte di mediazione?», accusa Enrico Letta.
mino taricco
«Che c'entra Orban? Noi cerchiamo l'accordo, con buona parte del centrosinistra - replica il leader leghista, - se Letta vuole affossare la legge ci sta riuscendo». In giornata, una serie di senatori che avevano anche espresso critiche al ddl sono costretti ad assicurare che mai voterebbero contro le indicazioni di partito, anche «nonostante i miei dubbi», come sottolinea Valeria Fedeli:
«Non ho mai utilizzato il voto segreto per esprimere una posizione», spiega la senatrice che da tempo chiede infatti un'assemblea di gruppo col segretario per ragionare su come evitare l'affossamento del ddl Zan. Che, come tutti pensano, è assai probabile senza un'intesa, visto il risicatissimo margine di voti.
Fuori dal Palazzo si esprime anche un grande vecchio del Pd come Pierluigi Castagnetti: nel ddl, dice «ci sono parti sbagliate che andrebbero cambiate. Ma so che non avverrà perché il braccio di ferro riguarda altro». Cosa sia questo «altro» nessuno lo ammette, ma tutti lo sanno: la guerra a Renzi aperta dal Pd serve certo ad avere un capro espiatorio cui poter addossare il fallimento del ddl Zan, messo già in conto, ma anche a delegittimarlo come interlocutore nella futura partita del Quirinale.
PIERLUIGI CASTAGNETTI
Un terreno su cui il Pd teme di ritrovarsi accerchiato dalle tattiche corsare di Renzi. Renzi replica a Letta: «Nella storia della sinistra l'unità si costruisce troppo spesso non per qualcosa ma contro qualcuno, come ora accusandomi di essere come Salvini. Colui che proprio noi ai tempi del Papeete abbiamo mandato all'opposizione invece che al voto, come voleva anche il Pd». Poi un affondo al Pd che, prima di schierarsi per il fantomatico Conte ter, con l'ex segretario Zingaretti «mi scriveva: se arriviamo così a Natale ci prendono a forconate».