Guido Ruotolo per “la Stampa”
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Ci siamo. I nostri connazionali devono immediatamente rientrare in Italia. Per motivi di sicurezza. L’invito è stato spedito dalla nostra ambasciata a Tripoli. E potrebbe anticipare la finora solo ipotizzata chiusura della nostra stessa rappresentanza diplomatica. Sono ormai in pochi gli occidentali che si trovano in Libia. In queste settimane per motivi di sicurezza lo stesso personale della nostra ambasciata è stato richiamato a Roma, lasciando a Tripoli l’ambasciatore con i suoi più stretti collaboratori.
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Gli islamisti occupano Sirte
La situazione si aggrava con il passare delle ore. Stamani i tagliagole del Daesh hanno occupato la radio di Sirte e controllano parte della città. I libici si sono svegliati sentendo la predica del leader dell’Isis Al Baghdadi alla radio mentre sono state messe sul web le immagini di 21 prigionieri in tuta arancione, ripresi sulla spiaggia di Sirte. Sono 21 cittadini egiziani, «miscredenti», «cristiani copti». Il presidente dell’Egitto al Sisi ha invitato i suoi connazionali a lasciare precipitosamente la Libia. Le bande jihadiste che si apprestano a uccidere gli ostaggi sono le stesse che qualche giorno fa uccisero a un posto di blocco un gruppo di miliziani di Misurata.
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L’allarme di Renzi
Ieri, al Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica, il Copasir, il direttore dell’Aise, il servizio segreto estero, Stefano Manenti, ha confermato che la situazione in Libia sta peggiorando sempre di più e che sta maturando la decisione operativa di abbandonare la Libia. Al Consiglio Europeo, giovedì sera il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha lanciato un grido d’allarme per la situazione libica, prendendo atto che i tentativi di dialogo per un governo di pacificazione nazionale - promotore del tavolo negoziale il delegato dell’Onu, Bernardino Leon - non stanno producendo i risultati sperati. Renzi ha annunciato che l’Italia «è pronta a fare la sua parte».
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Una nuova Somalia?
Affiorano, a livello internazionale, posizioni diverse su come affrontare la crisi libica. L’Italia spinge, per dirla con il ministro dell’Interno Angelino Alfano, per un rapido intervento della comunità internazionale: «Senza una rapida mobilitazione generale per la Libia correremo il rischio di vedere installato un califfato islamico alle nostre porte». Sembra quasi un benservito al commissario Onu Leon. Ma pensare a una forza internazionale di «peacekiping» senza trovare prima una intesa con le milizie armate significa rischiare una nuova Somalia.
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