Francesca Scorcucchi per il “Corriere della Sera”
licorice pizza
«Sarebbe un errore raccontare un film ambientato nel secolo scorso con gli occhi di oggi. Non c'è una sfera di cristallo, devi essere onesto e fedele a quei tempi». Paul Thomas Anderson risponde così alla polemica sorta attorno al suo Licorice Pizza , nelle sale dal 17 marzo, tre nomination agli Oscar, tutte di peso: miglior film, regia e sceneggiatura. È stato accusato di aver usato un falso accento giapponese in una scena. Il Media Action Network for Asian Americans ha tacciato Anderson se non di razzismo, di insensibilità.
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«È una scena con un personaggio stupido che dice cose stupide - spiega il regista - ma oggi, nell'era di internet, tutti possono esprimere un'opinione. Bene così». Licorice Pizza è la storia più intima, più personale di un regista poco prolifico: 25 anni di carriera, 9 lungometraggi. Storia di formazione, solare e nostalgica, Licorice Pizza ha molto in comune con il candidato italiano agli Oscar, È stata la mano di Dio, e infatti Paolo Sorrentino ha dichiarato che per lui dovrebbe vincere Anderson.
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Racconta l'incontro e la costruzione dell'amore fra due ragazzi, Gary, interpretato da Cooper Hoffman, il figlio del compianto Philip Seymour Hoffman, e Alana, interpretata da una musicista che non aveva mai recitato, Alana Haim, del trio indie-rock Haim, di cui Anderson ha curato molti video.
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Nel film ci sono tutte le sorelle Haim, e anche Bradley Cooper, Sean Penn e Tom Waits. In passato Anderson ha ottenuto 11 nomination agli Oscar ma non ha mai vinto. «Che allegria indossare un sorriso falso per quattro ore e mezzo - confessa -. A questo punto noi nominati siamo come quei giocatori negli spogliatoi che dicono che l'importante è partecipare e fare squadra, poi se si vince bene. Sono in giro da troppo tempo per questi giochini».
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Ha buone probabilità. Licorice Pizza , dal nome di una catena di negozi di dischi in voga negli anni Settanta «uno era proprio vicino a casa mia», è la classica storia che piace ai votanti dell'Academy. È il ricordo dell'infanzia del regista, della gloriosa industria del cinema, dei grandi cambiamenti, politici, culturali, economici dell'epoca.
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L'anno raccontato è il 1973, il luogo è la valle di San Bernardino, zona residenziale di Los Angeles dove il regista è nato e vive: «Chi fa il mio mestiere vuole venire a Los Angeles, io a 20 anni volevo andarmene, ma sono una di quelle persone che ha nostalgia di casa dopo 24 ore. Questo film è un omaggio alla mia città, a un passato, alla mia infanzia, che ricordo con nostalgia».
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Il racconto si sviluppa attorno alla nascita del primo amore. Fra Gary, adolescente che sa il fatto suo, e Alana, una giovane donna di 10 anni più grande che non ha trovato ancora la sua strada. Respinge il troppo giovane Gary ma lui è determinatissimo.
«Vent' anni fa - dice il filmmaker - traslocai in questa casa vicino ad un liceo e fui colpito da questo ragazzino che ronzava attorno a una ragazza più grande con una tenacia rara. Ricordo di aver pensato che sarebbe stata un'ottima premessa per una storia. Molto più tardi la misi nero su bianco».
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Nel 1973 Anderson aveva tre anni, poco dopo avrebbe scoperto la sua passione per il cinema. «Mia mamma racconta che non ho iniziato a fare il regista con il primo film: a 4-5 anni radunavo la famiglia e organizzavo in salotto i miei piccoli show. Fui fortunato perché di lì a poco iniziò l'era del Super 8. Erano cineprese scomode, ingombranti, ma vedevi subito il risultato. Giravi un film orribile un giorno e uno migliore il giorno dopo. Ho imparato così».
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La pratica è servita per poi lavorare con Tom Cruise, Philip Seymour Hoffman, Julianne Moore, Daniel Day Lewis, Joaquin Phoenix. Non girerà mai un film di cassetta, un comic-movie ad esempio: «Mi chiedono spesso se i fumetti hanno rovinato il cinema. Al contrario, mai come ora c'è bisogno di film che riportino la gente al cinema. Lo fa Spiderman? Batman? Ben vengano».
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Anche verso le piattaforme di streaming ha un atteggiamento positivo: «Abbiamo sempre guardato film a casa, prima c'era il VHS ora Netflix, l'unico problema è che c'è troppa roba, perdo ore a cercare». Però il cinema resta quello da vedere in sala: «Ne parlavo l'altro giorno con Tarantino. Oggi, quando ti ritrovi con ore e ore di girato, ti viene da chiederti se una serie tv, con i suoi tempi dilatati, sarebbe stata un'opzione migliore. La risposta è no: il mestiere del regista è tagliare il superfluo e fare un buon film di due ore».
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