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    “LO AMO” – ANCHE LEBRON JAMES SI INCHINA A LUKA DONCIC DOPO LA PARTITA DA RECORD CONTRO I KNICKS: 60 PUNTI, 21 RIMBALZI, 10 ASSIST – LO SLOVENO DEI DALLAS MAVERICKS MEJO DI FORREST GUMP A FINE GARA: “SONO STANCHISSIMO, HO BISOGNO DI UNA BIRRA PER RECUPERARE” – IL TATUAGGIO “NON DESISTAS, NON EXIERIS” (NON MOLLARE, NON ARRENDERTI) E QUELLA "FIESTA" OLIMPICA AL VILLAGGIO DI TOKYO CON LE GIOCATRICI SPAGNOLE TRA UNA MANO DI POKER E FIUMI DI VODKA - VIDEO


     
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    Roberto De Ponti per corriere.it

     

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    I numeri non sono tutto, nello sport, ma qualcosa valgono pure. E allora, prima di tutto, i numeri: 60 punti, che in sé non sono un primato assoluto ma che valgono di più se hai realizzato 21 canestri dal campo su 31 tentativi, se hai volutamente sbagliato un tiro libero per prenderti il rimbalzo e segnare al volo il canestro che vale il supplementare e se quei 60 punti servono a vincere all’overtime la partita con i New York Knicks dopo che a 33” dalla fine eri sotto di 9.

     

    Più 21 rimbalzi, per una doppia doppia che nella storia della Nba si era già verificata (raramente, invero) ma realizzata finora soltanto da centri: per la prima volta c’è riuscita una guardia. Più 10 assist, per una tripla doppia assolutamente insensata, un 60-20-10 che non ha precedenti nella lega. Aggiungiamoci 23, ovvero gli anni compiuti da Luka Doncic lo scorso 28 febbraio, e allora avremo un’impresa ai limiti dell’indecente.

     

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    «Sono stanchissimo, ho bisogno di una birra per recuperare»: nemmeno Forrest Gump sarebbe riuscito a concepire una frase del genere a fine partita. Doncic lo ha fatto. Con il suo sorriso da eterno bambino (ma a 23 anni non lo è ancora?), ha liquidato in questo modo una prestazione che ha spostato i limiti umani sotto i canestri della Nba.

     

    Aggiungendo un altro record, questa volta collettivo, con i suoi Dallas Mavericks: nelle 13.884 occasioni in cui, nelle ultime venti stagioni, una squadra si era trovata sotto di 9 punti a meno di 35” dal termine, mai era capitato che quella squadra riuscisse a ribaltare il risultato. Nemmeno Wilt Chamberlain, l’uomo dei 100 punti in una sola partita, era arrivato a tanto: «Wilt the stilt» si era fermato (si fa per dire) a 50-20-10.

     

     

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    Ma quello che i numeri non dicono (anche e soprattutto in una serata da record) è come Luka Doncic non abbia fatto altro che assecondare il suo percorso da predestinato . LeBron James, uno che di predestinati se ne intende, giusto un paio di giorni fa l’aveva già incoronato: «Amo la sua visione di gioco, potrebbe portare palla in attacco dieci volte di fila e ogni volta proporre una soluzione diversa». Dopo il record dell’altra notte, potrebbe però essere mosso ora da una sana invidia.

     

    Luka ci riderebbe su: «Non desistas, non exieris», non mollare, non arrenderti, tiene tatuato sul suo polso sinistro, ma in realtà il Wonderboy di Lubiana non ha dovuto praticamente mai fare uso di questo motto latino, perché la sua carriera è sempre stata in ascesa, o meglio in discesa.

     

    Troppo talento in questi 201 centimetri per 104 chilogrammi, un Real Madrid che già a 18 anni gli andava troppo stretto e un debutto in Nba accompagnato da una «Slovenian Rhapsody» composta in suo onore sulle note dei Queen e una gara a misurare il suo step back, in origine il suo marchio di fabbrica, oggi accompagnato — come giustamente sottolineato da LeBron — da un’infinità di altre soluzioni offensive.

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    In una Nba in cui senza fisicità pare non esista gioco, Doncic con la sua apparente lentezza e con un fisico non esattamente asciutto, inventa basket con un’intelligenza cestistica molto europea. Piace ai tifosi, alle ragazzine e alle mamme, adora i cani (ne ha tre, con la favorita Gia che lo accompagna in ogni trasferta), ha appreso i rudimenti del basket da papà Sasha, mediocre giocatore sloveno, e la capacità di mantenersi in equilibrio in aria da mamma Mirjam, ex ballerina e modella. E se poi dovesse scegliere un giocatore a cui ispirarsi, non tanto per caratteristiche quanto per versatilità, allora dovrebbe indicare Magic Johnson, un playmaker che per necessità ha dominato una finale Nba giocando da centro perché Jabbar era infortunato.

     

    E come Magic, Luka Doncic ride sempre. Chi altri, dopo una partita da 60-20-10, avrebbe potuto rispondere alla domanda «come ti senti dopo questa impresa?» con un semplice «stanco, credo di meritarmi una birretta»?

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