• Dagospia

    OBTORTO COLLE - LO SPETTRO DEI 101 TRADITORI CHE TOLSERO DI MEZZO PRODI AGITA RENZI CHE VUOLE SERRARE LE FILA NEL PARTITO IN VISTA DELLA CORSA AL QUIRINALE: UNA CRISI INTERNA DEL PD RISCHIA SOLO DI FARE IL GIOCO DEL CAV


     
    Guarda la fotogallery

    Marco Galluzzo per il “Corriere della Sera

     

    MATTEO RENZI ROMANO PRODI MATTEO RENZI ROMANO PRODI

    Di fronte al pericolo di una scissione, per quanto minima, vista la platea, circa un migliaio di delegati, introdurrà il suo discorso all’assemblea nazionale del Pd con un’analisi dei passi compiuti insieme negli ultimi anni: «Non rivendico meriti, non voglio coccarde — dirà Renzi —. Ma vorrei ricordarvi dell’impresa che insieme abbiamo fatto, che voi avete fatto. Avete preso un partito che aveva non vinto in Italia e lo abbiamo trasformato nel partito più votato d’Europa». 
     

    Il discorso di oggi, forse uno dei più delicati da quando è premier, Renzi lo ha già scritto. Ieri sera ne limava alcuni passaggi, frutto di una riflessione anche collettiva, con la dirigenza del suo partito. Riflessione che a meno di imprevisti non contempla punizioni o provvedimenti per quella «ventina» di deputati che stanno facendo una mera lotta «di sopravvivenza» (questo non sarà nel discorso), ma che hanno certamente sbagliato bersaglio, a giudizio del premier, se pensano di conseguire qualche utilità. 
     

    ROSY BINDI ROSY BINDI

    «Non chiedo obbedienza, ma pretendo lealtà. Non per me, ma per la cucina della Festa dell’unità, per l’iscritto che prende ferie nella settimana delle elezioni, per la giovane precaria che spera in noi», dirà il presidente del Consiglio, anzi meglio, il segretario del Pd, al suo partito. 
     

    E nella differenza fra obbedienza e lealtà c’è tutta intera la divergenza politica di questi giorni: per chi ha mandato sotto il governo, la settimana scorsa, in Commissione, alla Camera, sulla riforma della Costituzione, la rivendicazione di un’autonomia di coscienza, vista la materia, è imprescindibile. Sino alle accuse, della Bindi, o di Civati, di «autoritarismo» del premier. 
     

    Per Renzi invece la questione è mal posta: chi rivendica autonomia in realtà copre solo un alibi per indebolire il suo governo, il Paese e la necessità di fare in fretta le riforme (entro la fine di gennaio lui rincorre un voto in Aula sia sulla legge elettorale che su quella del Senato, su testi in qualche modo definitivi). 
     

    NAPOLITANO RENZI NAPOLITANO RENZI

    Alla voglia di autonomia lui risponderà più o meno in questo modo, a meno di correzione del testo dell’ultima ora: «Chi vuole cambiare segretario può aspettare fino al 2017, con il congresso. Chi vuole cambiare governo può aspettare fino al 2018, con le elezioni. Ma chi vuole cambiare il Paese non perda un solo giorno e venga a darci una mano». 
     

    Insomma secondo Renzi chi oggi minaccia scissioni, chi lo accusa di voler comprimere il dibattito interno, o la libertà dei parlamentari, in realtà, al contrario dei senatori, dei bersaniani, dei lettiani, avrebbe rotto i patti di disciplina interna del partito e fatto un discorso che non sta in piedi; «visti i temi che hanno sollevato, e con quale drammaticità», aggiungono a Palazzo Chigi. 
     

    NAPOLITANO RENZI GENTILONI NAPOLITANO RENZI GENTILONI

    Lui aggiungerà, o meglio ripeterà, che il Pd è il motore delle riforme e chi vuole spaccarlo o metterlo in crisi rischia solo di fare male al Paese, non a lui. Lui è convinto di andare avanti, come ha detto ieri pomeriggio ad un convegno sulla scuola. Conta comunque di superare «un gennaio e febbraio che saranno mesi un po’ complicati», visto che «ci sono tanti provvedimenti, passaggi istituzionali, appuntamenti legati ai tanti provvedimenti di legge», e poi «termina il semestre di presidenza Ue». 
     

    VIGNETTA BENNY DA LIBERO RENZI NAPOLITANO DALEMA LETTA VIGNETTA BENNY DA LIBERO RENZI NAPOLITANO DALEMA LETTA

    Le previsioni dunque non sono per uno show down: chi pronostica provvedimenti punitivi potrebbe restare deluso, a Renzi non conviene alimentare tensioni, semmai cercare un compromesso interno che porti un Pd compatto alla trattative che fra qualche mese entreranno nel vivo per l’elezione del nuovo capo dello Stato. Se davvero, come sembra, Napolitano lascerà il Colle a gennaio, una crisi interna del Pd, per quanto minima («anche senza di loro», senza quella «ventina», dice Renzi, «andremmo avanti senza problemi») rischia solo di aumentare il potere degli altri partiti, a cominciare da quello di Berlusconi. 
     

    «Il governo sta cambiando molto, con un sistematico lavoro di riforma di cui si stanno piano piano accorgendo e che è molto più strutturato e strutturale di quello che pensa chi diceva che avremmo fatto solo annunci. Non lasceremo il futuro ai nostri avversari», ha aggiunto, pensando forse anche a quelli interni al Pd. 

     

    Guarda la fotogallery


    ultimi Dagoreport