1. LA BRIGATISTA AI DOMICILIARI CON IL REDDITO DI CITTADINANZA
Giacomo Amadori e Fabio Amendolara per ''la Verità''
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Vent' anni fa voleva disarticolare lo Stato, colpendo alcuni suoi servitori innocenti, come i consulenti del ministero del Lavoro. Quattro lustri dopo, a fine luglio 2019, a quello stesso Stato ha chiesto il reddito di cittadinanza e la sua domanda è stata accolta velocemente, tanto che ai primi di agosto aveva già percepito il primo assegno. Stiamo parlando dell' ex brigatista Federica Saraceni, condannata a 21 anni e sei mesi per associazione con finalità di terrorismo e per l' omicidio del giuslavorista Massimo D' Antona, freddato a 51 anni sulla via Salaria il 20 maggio 1999.
Ma la ex maestra d' asilo prestata alla lotta armata non solo incassa 623 euro dal mese scorso, ma lo fa anche da una condizione particolare. È infatti agli arresti domiciliari, dove si trova dal 2005 (quando era incinta e già madre di una figlia).
Peccato che tra i requisiti richiesti per ottenere il reddito ci sia quello di non essere sottoposti «a misura cautelare personale». Tra le condizioni ostative anche quella di essere stati condannati in via definitiva nei dieci anni precedenti la richiesta per reati gravissimi. Ma la sentenza definitiva della Saraceni risale al 28 giugno 2007 e almeno su questo punto la ex br risulta in regola.
LUIGI SARACENI - UN SECOLO E POCO PIU'
In ogni caso non è facile comprendere come le sia stato possibile ottenere dai domiciliari un assegno che dovrebbe essere propedeutico alla ricerca di un impiego. Nei prossimi giorni dovranno darne spiegazione quel ministero del Lavoro (con cui collaborava D' Antona quando venne assassinato) che ha ideato la misura e l' Inps che eroga il sussidio. Di certo da agosto la cinquantenne romana ha acquisito il diritto a ricevere il reddito.
La donna vive con la figlia maggiorenne in una strada residenziale vicino alla Nomentana, non distante dai quartieri di Montesacro e della Bufalotta. La storia della Saraceni è particolare. Ha sempre negato di aver fatto parte delle Br, ma ha solo ammesso di essersi avvicinata per poi scoprire che si trattava di una cosa più grande di lei. I giudici della Corte di Appello di Roma e della Cassazione, grazie alle informative dell' Antiterrorismo, hanno maturato parere opposto.
La foto del brigatista Mario Galesi, ucciso il 2 marzo 2003 in un conflitto a fuoco con le forze dell' ordine sul treno Roma-Firenze, gli investigatori l' hanno trovata incorniciata e attaccata a una parete dell' appartamento che occupava al Collatino, nella periferia di Roma, in un palazzo popolare.
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L' ammirazione per Galesi la portò perfino a scrivere una lettera-necrologio sotto falso nome: «Non eri solo neppure nella tua scelta che in tanti abbiamo ritenuto coraggiosa e coerente. Hai dato la vita per sconfiggere l' ingiustizia di questo mondo. Grazie dolce Mario e onore a te». I giudici d' appello che il 24 ottobre 2006, ribaltando la decisione di primo grado, l' hanno condannata a 21 anni e 6 mesi (sentenza confermata dalla Cassazione nel 2007) l' hanno definito «un vero e proprio elogio funebre» del brigatista.
E anche con Laura Proietti, maestra d' asilo proprio come lei, dissociata più che pentita, condannata a 20 anni grazie a sconti di pena per la collaborazione, intercorreva una buona amicizia. Tanto che la Proietti durante il processo cercò di scagionarla, sostenendo che parlassero di politica: «Discutevamo insieme dei Nuclei comunisti combattenti (la sigla che negli anni novanta traghetta l' antagonismo politico verso la lotta armata delle Br, ndr) verso i quali lei aveva mostrato interesse in un certo periodo, che non sono in grado di precisare con esattezza, ma certamente precedente alla decisione di ricorrere all' omicidio politico».
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I giudici, però, hanno in mano una scheda sim definita «blindata», ossia usata solo dai membri delle Br per comunicare tra loro. Con quella scheda Federica chiama sul posto di lavoro Daniele Bernardini, con cui era legata sentimentalmente, fa tre chiamate al papà, una a suo fratello e una alla società all' epoca amministrata dal suo amico Stefano Misiani, figlio di uno dei difensori della brigatista. Su quel numero veniva contattata dall' uomo che le affittò casa a Cerveteri da aprile a settembre 1999. Ergo, la scheda era sua. I giudici giungono a questa convinzione, che non viene scalfita neppure quando l' amica Proietti prova a dire: «Sono stata io a prestarle un cellulare di cui lei aveva bisogno per motivi personali. Non era un cellulare di organizzazione, ne sono certa, o almeno io non lo sapevo».
Ma è il terzo gruppo di indizi che porta le toghe a definire le accuse come «concordanti e precise»: Saraceni era in possesso di una parte dell' archivio delle nuove Br. Prima di uccidere D' Antona, i rivoluzionari progettarono tre attentati e archiviarono le informazioni raccolte su un supporto digitale. Il cd rom che conteneva tutti i dettagli sui bersagli scelti (una sede della Cgil, una della Cisl e l' ufficio della Commissione di garanzia per lo sciopero), risultati di pedinamenti e sopralluoghi, compresi i motivi che portarono i brigatisti a rinunciare, era, coincidenza, a casa di Saraceni.
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Lei ha provato a negare. Ha detto che il dischetto le era stato dato dalla Proietti per darle la possibilità di rendersi conto, ai fini di un eventuale reclutamento, del tipo di attività che veniva svolta, ma quando aveva capito che erano cose più grandi di lei aveva desistito. Invece di restituirlo, però, lo conservò. E non le è bastato cancellare i file, perché i tecnici dei pm riuscirono a recuperarli. Per i giudici, quindi, l' imputata, visti i rapporti con Galesi e Proietti, non aveva bisogno di quel cd per capire quali fossero le attività dei gruppi eversivi.
In più, da alcuni passi del documento si poteva desumere chiaramente che le attività d' inchiesta contenute nel cd rom erano state svolte da una donna (che in alcuni passaggi scriveva in prima persona e al femminile) e, in particolare, da una donna con problemi di vista (dato che fa espressa menzione della difficoltà di vedere da lontano): «Caratteristiche che si attagliano», spiegano i giudici, «perfettamente alla persona dell' imputata». Almeno in un caso, insomma, gli appostamenti sarebbero stati opera della Saraceni.
È difficile immaginare, poi, che, a fini di reclutamento, un' organizzazione clandestina potesse fornire quella documentazione a un' estranea.
«Il possesso di un documento operativo», sottolineano i giudici, «costituisce ulteriore indizio di partecipazione della Saraceni all' organizzazione».
Il padre di Federica, Luigi Saraceni, ex toga rossa (è tra i fondatori della corrente di Magistratura democratica), dopo essere stato eletto in Parlamento nelle fila dei Democratici di sinistra e poi dei Verdi, è diventato avvocato (ha assistito, tra gli altri, Carlo De Benedetti e il leader curdo Abdullah Ocalan), in un libro autobiografico intitolato Un secolo e poco più prova a dare una spiegazione all' accaduto. Cerca di capire quanto sia coinvolta Federica in quella che definisce «una follia».
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Il suo è un flusso di coscienza: «Come sia potuto accadere, se è accaduto, che su mia figlia non abbiano funzionato gli anticorpi che costituiscono il patrimonio del mondo a cui ritengo di appartenere. Vediamo le carte. Mentre vado avanti nella lettura mi accorgo, con dolore, che con quel gruppo di dissennati, in qualche modo mia figlia ha avuto a che fare. Ma fino a che punto?».
Saraceni ripassa a ritroso tutta la vita di sua figlia, «buona e cattiva, rabbiosa e generosa, spiritosa e indisponente, solidale ed egoista. Anche terrorista?». Papà Saraceni è sorpreso. Un po' meno stupito è apparso l' ex presidente della Camera Luciano Violante, che Magistratura democratica la lasciò dopo averla fondata per «l' insopportabile ambiguità» nei confronti del fenomeno terroristico. «Md era spaccata al suo interno», spiegò qualche anno dopo, «e c' era una componente movimentista, esagitata, che corrispondeva al cosiddetto gruppo romano e considerava il brigatismo rosso come una montatura a opera di apparati dello Stato. Questa fazione, anti Pci, faceva capo a Luigi Saraceni, padre di una terrorista».
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Durante la detenzione la brigatista ha chiesto al genitore di iscriverla alla facoltà di Scienze dell' educazione e della formazione. E lui, nel libro, si appunta una medaglia: «I risultati superano ogni aspettativa. Massimo dei voti e lode in entrambe le lauree, la triennale e la magistrale». Chissà cosa penserà ora di sua figlia, la brigatista laureata magna cum laude che, abbandonata la lotta armata, dai domiciliari, intasca il reddito di cittadinanza.
2. LO STATO DÀ IL REDDITO DI CITTADINANZA AD ALTRI DUE BR CHE LO VOLEVANO MORTO
Giacomo Amadori e Fabio Amendolara per “la Verità”
Non c' è solo l' ex brigatista rossa Federica Saraceni tra coloro che volevano disarticolare lo Stato e oggi chiedono una mano a quello stesso Stato per tirare a campare. La Saraceni, come abbiamo scritto ieri, percepisce da agosto 623 euro di reddito di cittadinanza, sussidio richiesto a fine luglio. La donna però, è questa la particolarità, ha ottenuto l' assegno dagli arresti domiciliari, dove si trova per la condanna a 21 anni e sei mesi per associazione con finalità di terrorismo e per l' omicidio del giuslavorista Massimo D' Antona.
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Sul sito ufficiale del reddito di cittadinanza sono indicati i requisiti indispensabili per accedere alla misura. Qui si legge: «Il richiedente non deve poi essere sottoposto a misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell' arresto o del fermo, nonché esser stato condannato in via definitiva, nei dieci anni precedenti la richiesta, per i delitti previsti dagli articoli 270 bis (associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell' ordine democratico, ndr), 280 (attentato per finalità terroristiche o di eversione, ndr), 289 bis (sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione, ndr), 416 bis (associazioni di tipo mafioso anche straniere, ndr), 416 ter (scambio elettorale politico-mafioso, ndr), 422 (strage, ndr) e 640 bis (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ndr) del codice penale, per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416 bis ovvero al fine di agevolare l' attività delle associazioni previste dallo stesso articolo».
Chissà in quanti hanno chiesto e ottenuto l' assegno pur violando queste condizioni.
Tra coloro che sognavano di colpire il cuore dello Stato per motivi ideologici e ora incassano il sussidio c' è anche il quarantaquattrenne foggiano Massimiliano Gaeta: percepisce 500 euro da agosto.
raimondo etro su maria elena boschi
Nel 2007 era stato arrestato, su richiesta della Procura di Milano, nella cosiddetta operazione Tramonto, come esponente del cosiddetto Partito comunista politico militare, considerato un' organizzazione terroristica dalla pm Ilda Boccassini, l' ala movimentista delle nuove Br. Ma nel 2012, come tutti i suoi compagni di lotta, è stato condannato a 5 anni e 3 mesi non per l' articolo 270 bis (uno degli articoli del codice penale che impedisce di ottenere il reddito): 4 anni gli sono toccati per aver partecipato alla banda armata (le pene per chi partecipa vanno da 3 a 9 anni, come previsto dall' articolo 306 del codice penale) e 6 mesi per la finalità eversiva (punita dall' articolo 270 del codice penale). Si è poi beccato anche sette mesi per l' accusa di detenzione di armi e munizioni e due mesi per ricettazione.
Nelle motivazioni i giudici spiegarono che gli uomini del Pcpm avevano «una aberrante visione ideologica», non disdegnavano affatto «la violenza della guerra» e per questo stavano preparando «plurimi attentati». Ma anche se erano eversivi, stabilì la Cassazione, non erano terroristi.
Perché agivano con metodo chirurgico, non accettando «il rischio di vittime collaterali». Insomma non volevano colpire «indiscriminatamente per suscitare terrore, panico ed insicurezza».
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Gaeta, ex operaio metalmeccanico (peraltro all' epoca era iscritto alla Fiom), era l' informatico del gruppo, si occupava della manutenzione delle armi e reperiva, secondo i giudici, «i mezzi utilizzati anche per le azioni di autofinanziamento»: un furgone, arnesi per lo scasso, materiale meccanico, elettronico e informatico.
Era anche l' albergatore della banda: «Forniva nella propria abitazione», è scritto nella sentenza d' appello, «ospitalità agli altri membri del sodalizio». Con i pugni alzati pensavano di fare la rivoluzione anche in aula. Uno di loro si difese così durante il processo: «Noi abbiamo il coraggio di affrontare lo Stato mettendo in gioco la nostra vita, non come lo Stato che ha messo bombe». E che ora offre il reddito di cittadinanza.
C' è infine il sessantaduenne romano Raimondo Etro, il quale da aprile incassa 780 euro di rdc, il massimo consentito dalla legge. È stato condannato per concorso nel sequestro di Aldo Moro e per l' omicidio del giudice Riccardo Palma a 20 anni e 6 mesi. Lo catturarono di ritorno da Bangkok nel 1994, quando aveva 37 anni. Agente pubblicitario, fotografo, commerciante di riviste e film hard core, ora non se la passa molto bene. Ma, in compenso, ha molto tempo da dedicare ai suoi tre profili Facebook.
Il brigatista 2.0 la rivoluzione la fa con la tastiera del suo pc. Ce l' ha con tutti, di destra e di sinistra, compresi i suoi ex compagni br, come Barbara Balzerani. Si definisce antifascista, anticomunista e anticlericale.
Per lui Giorgia Meloni, che l' ha querelato, è «la nana coatta sgraziata fascista».
Renzi? «Una latrina». Giachetti è un «pagliaccio».
Formigoni e Vendola? «Meglio quando raccontano barzellette sporche, ma stiano lontani dalla politica». Ce l' ha con i gay e anche con gli omofobi. Sull' accoglienza, poi, è «completamente d' accordo con Papa Imbroglio: tutti in Vaticano».
Massimiliano Gaeta
Il surriscaldamento del pianeta? «Sai che c' è, Greta? Ma vaff... a te, a tutti quelli che ti sfruttano e a quelli che credono agli asini che volano».
In primavera aveva detto: «Se ci saranno proteste e il reddito di cittadinanza mi verrà ritirato, pazienza, non mi opporrò. Ho sempre considerato le pene che abbiamo avuto, io e tutti gli altri br, fin troppo miti. Io il 6 marzo scorso ho fatto domanda alle Poste perché sto affogando, sono un vero povero [] il reddito per me è una boccata d' ossigeno».
Ieri ha condiviso lo scoop della Verità sulla Saraceni e ha condito il post a modo suo: «E Giorgia Meloni ebbe un attacco di bile».