Maria Rosa Tomasello per “la Stampa”
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Non erano le rose. Era il messaggio silenzioso che accompagnava le rose, benché non ci fosse alcun biglietto. Un mazzo che arrivava alla stessa studentessa nell' aula dell' università a ogni lezione, sotto lo sguardo sorpreso dei presenti.
Un omaggio apparentemente innocuo, diventato ossessione. «È iniziata così: in principio la ragazza ha creduto che fosse il suo fidanzato a spedirle, ma quando l' invio si è ripetuto più e più volte, mentre lui continuava a negare, ha capito di essere finita nel mirino di qualcuno.
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Ha smesso di andare a lezione, e alla fine ha fatto denuncia contro ignoti e ha sparso la voce che la polizia era sulle tracce di chi mandava i fiori. Solo a quel punto le spedizioni sono cessate».
CAMBIAMENTO DELLE ABITUDINI
Il racconto di Anna Campanile, operatrice del centro antiviolenza Voce Donna di Pordenone e consigliera di Dire (Donne in rete conto la violenza), definisce con precisione cos' è lo stalking: un atto persecutorio che genera nella vittima ansia e paura, costringendola a cambiare abitudini.
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Senza che ci sia aggressione fisica, eppure spesso altrettanto spaventoso per chi lo subisce. Soprattutto, in un caso su tre, secondo gli esperti, è l' anticamera del femminicidio. La recidiva è del 40%. «È una forma di violenza fatta di cose che sembrerebbero piccole, ma che crea in chi le subisce uno stato di tensione tale da orientare tutta la vita a difendersi.
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Abbiamo seguito il caso di una ragazza che aveva capovolto la sua stessa esistenza: lavorava di notte. La veglia le consentiva di essere vigile in caso di intrusioni in casa o di altro pericolo». Le donne non sono le sole vittime di stalking, ma in tre casi su quattro le vittime sono di sesso femminile e nel 50-60% dei casi l' ex partner è indicato dalla vittima come presunto autore di stalking, maltrattamenti o violenza.
L'Istat stima che il 21,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni (pari a 2.151.000 persone) abbia subito comportamenti persecutori almeno una volta nella vita. Di queste, il 15,3% più volte. Dal primo agosto 2018 al 31 luglio 2019 (ultimi dati resi disponibili dal Viminale), le denunce sono state 12.733, e nel 76% dei casi a denunciare (si tratta di un reato perseguibile solo a querela di parte) sono state donne.
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Nello stesso periodo 2017-2018, la banca dati delle forze dell' ordine aveva registrato numeri più alti: 14.633 denunce. In un anno c' è stata una flessione del 13%. Dal 2014 al 2018 secondo dati Istat le segnalazioni per atti persecutori tuttavia sono state in costante aumento, passando da 11.096 a 14.145.
A cosa è dovuto il calo di denunce dell' ultimo periodo? Nello stesso arco temporale sono aumentati del 32,5% gli ammonimenti del questore (un "avvertimento" allo stalker perché smetta di molestare la vittima), che sono passati da 1.819 a 2.411, con un aumento del 76% degli ammonimenti per violenza domestica (da 666 a 1.171 sul totale di 2.411). Da quando, nel 2009, è entrata in vigore la legge che definisce il reato, sono in forte crescita anche le condanne per stalking: 37 sentenze nel 2009, 1.827 nel 2017 (dati Istat).
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Ad arrivare a sentenza, tuttavia, è una percentuale limitata di casi: nel 2016 a fronte di 16.910 indagati per stalking, 9.141 casi sono stati archiviati, con l' avvio dell' azione penale per 7.769 casi. Nello stesso anno le condanne con sentenza irrevocabile (per processi che avevano preso il via negli anni precedenti) sono state 1.343, attorno al 17%.
«Normalmente lo stalking non è troppo difficile da dimostrare e le denunce sono più frequenti rispetto ai maltrattamenti in famiglia, che spesso non vengono segnalati- osserva Giulia Masi, avvocata ed esponente dell' associazione GiuridicaMente Libera di Roma-. Per questo la riduzione delle denunce e il maggior ricorso all' ammonimento del questore denota sfiducia nella giustizia, con il ricorso a un metodo meno invasivo».
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Al contrario, la maggiore attenzione alle violenze di genere e l' introduzione, un anno fa del "Codice rosso" che innova la disciplina penale e inasprisce le sanzioni per chi commette i reati, consente spesso di arrivare a una soluzione veloce.
«Il nostro centro anti-violenza ha seguito una giovane donna che, dopo aver interrotto una relazione durata due anni, ha cominciato a essere perseguitata dall' ex fidanzato, che la seguiva al lavoro, parlava con i suoi amici, mandava anche dieci mail al giorno a lei e ai suoi familiari, minacciando di allegare filmati dei loro rapporti sessuali, la intimidiva sui social.
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Era così sotto pressione da manifestare idee di suicidio. Finché si è rivolta al centro, che ha iniziato a collaborare con la procura, informando tempestivamente di ogni cosa: grazie al Codice rosso, in tre mesi è stato inviato l' avviso di conclusione delle indagini e lo stalker ha smesso».
Non è sempre così. «Lo stalking è spesso l' anticamera del femminicidio- conferma-. Ecco perché non bisogna mai accettare quell' ultimo appuntamento chiarificatore, né mettersi in situazioni di rischio». Certo, le denunce rappresentano solo una piccola parte del fenomeno. L' Istat ha certificato che il 78% delle vittime (8 su 10) non chiede aiuto: solo il 15% si rivolge alle forze dell' ordine, il 4,5% a un avvocato e l' 1,5% a un centro specializzato. E tra queste, solo il 48,3% presenta una denuncia formale. Tuttavia qualcosa sta cambiando.
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SORTA DI ATTIVITÀ DI INDAGINE
«L' ammonimento è una misura di prevenzione che garantisce alle vittime una tutela rapida e anticipata rispetto ai tempi del procedimento penale- spiega Alessandra Simone, dirigente della Divisione Anticrimine della questura di Milano-. Viene svolta una sorta di attività di indagine per capire se l' istanza è fondata, e spesso, se si tratta di atti non troppo invasivi e se non ci sono state aggressioni fisiche, la donna sceglie la misura di prevenzione. È sì un provvedimento amministrativo, ma viene inserito nel sistema di indagine interforze e determina un alert sul soggetto, che ha una spada di Damocle su di sé».
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Del resto, è la legge stessa a prevedere che se gli atti persecutori sono commessi da una persona già ammonita, si può procedere anche d' ufficio. «L' esperienza milanese dimostra che funziona - prosegue Simone - soprattutto perché noi abbiamo associato all' ammonimento del questore l' invito a seguire un percorso di recupero comportamentale nell' ambito del protocollo Zeus, una intesa in materia di atti persecutori sottoscritta con il Centro italiano per la promozione e la mediazione (Cipm)».
Avviato nell' aprile 2018 con il nome del «primo maltrattante noto della storia», Zeus sta dando risultati significativi: dal 5 aprile 2018 a novembre 2019 sono stati invitate a rivolgersi al centro 213 persone, 170 delle quali si sono presentate, ovvero il 79%. Di questi, 93 erano state ammonite per stalking e 76 per violenza domestica. «Dei 170- sottolinea Simone- solo 17 sono tornati a commettere reati e sono stati arrestati in flagranza di reato».
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Nei soggetti ammoniti, secondo dati parziali del Viminale sul 2019, la recidiva è pari al 13%. L' esperienza, nata a Milano, è stata estesa in tutta Italia e oggi iniziative analoghe sono in corso tra l' altro a Modena, a Viterbo, Pescara e L' Aquila. Nelle questure di Lazio e Abruzzo è impegnata l' Associazione italiana di Psicologia e Criminologia (Aipc) coordinata da Massimo Lattanzi, psicologo e psicoterapeuta, a cui fanno capo anche l' Osservatorio nazionale sullo stalking e il Centro presunti autori.
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«Il protocollo Offender viene applicato a presunti autori di violenza domestica, abusi, atti persecutori perché la nostra idea è di lavorare alla pari sia con la presunta vittima che con il presunto autore- afferma-. Nel 2007 abbiamo spostato il baricentro su quest' ultimo, formando il personale delle questure e offrendo un percorso di socializzazione alle persone che hanno subito un ammonimento in modo da chiudere il cerchio della violenza, altrimenti in queste persone sopravviverà sempre una zona d' ombra che, solo con l' azione giudiziaria, non si riuscirà a spazzare via.
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Nel 2012 abbiamo cominciato a lavorare anche nelle carceri, prima a Rebibbia e oggi, dal novembre 2018, a Velletri, dove esiste una sezione speciale per uomini maltrattanti. Facciamo colloqui di gruppo con le persone che hanno deciso di aderire».
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Certo, la strada del recupero è lunga: «Il nostro protocollo - conclude Lattanzi - ha fatto emergere che la maggior parte di queste persone ha traumi non elaborati, anche molto precoci, abbandoni, separazioni, lutti, che hanno segnato il loro profilo relazionale. Si trovano in grande difficoltà nelle relazioni, benché siano persone che in altri ambiti sono funzionali. E questo vale per tutte le relazioni: dal partner al vicino di casa».
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