Luca Mastrantonio per www.corriere.it
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In apparenza la vita dello storico israeliano Yuval Noah Harari non è cambiata molto. Vive a Tel Aviv in un moshav, una comunità agricola simile al kibbutz, con il marito Itzik Yahav (la loro società Sapienship ha donato un milione di dollari all’Organizzazione mondiale della sanità dopo la notizia che Trump ha bloccato i fondi americani all’OMS): «Qui in tanti hanno perso il lavoro, io sono fortunato, posso lavorare da casa». Prima del lockdown, andava a Gerusalemme per l’università. Ora, didattica online: «Utile, ma mi manca il confronto dal vivo».
«SÌ, FINIREMO NEI LIBRI DI STORIA»
Ancora più acuta è l’assenza di contatti fisici con i cari e gli amici: «Parlo con mia madre, facciamo un diario della giornata, ma vorrei abbracciarla». La novità, per il celebre autore di best-seller come Sapiens e Homo Deus (Bompiani), è il boom di interviste: «Prima ne davo una ogni due, tre settimane. Ora anche 4-5 al giorno. Perché?». La risposta, forse, è dentro ognuno di noi: vogliamo sapere se ciò che stiamo vivendo, i lutti, i sacrifici e le sofferenze hanno un senso. In sintesi: finiremo nei libri di Storia? «Sì, perché le decisioni che stiamo prendendo adesso avranno effetti profondi sul nostro futuro», ci risponde Harari, al telefono.
yuval noah harari 21 lezioni per il xxi secolo
Un mese fa sul Financial Times lei descriveva un bivio: da una parte la crescita di nazionalismi autoritari, dall’altra una globalizzazione più solidale. A che punto e in che direzione siamo?
«L’Europa ha bisogno di più unità ma rispetto a un mese fa i segnali incoraggianti ci sono: c’è meno cinismo, si è capito che non bastano gli aiuti, serve solidarietà. Tra i segnali negativi, il governo americano che ha deciso di cancellare i fondi Usa per l’OMS. Roba da pazzi. Trump sta cercando di deviare l’attenzione dalla sua pessima gestione della crisi, vuole un capro espiatorio, vuole coprire i suoi errori».
Oggi più che mai sentiamo il bisogno di leader con una visione.
«Sono emersi i limiti strutturali del tipico leader populista che ha vinto le elezioni esasperando le divisioni: ha sostenitori che gli danno ragione anche se dice che il sole sorge a ovest e oppositori che lo criticano anche se dice che il sole sorge a est. Così puoi vincere in democrazia, ma non governi la crisi. I leader populisti che fanno?
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Esasperano le divisioni, fomentando l’odio per gli stranieri e le minoranze. In India accusano gli islamici, i Paesi islamici accusano Israele, Trump accusa i cinesi... Ma il coronavirus ci sbatte in faccia che l’umanità è globale, ha un solo destino. Non abbiamo bisogno di nuove ideologie o religioni per capirlo. Agli occhi del virus fa differenza se sono israeliano o italiano? No. Siamo tutti prede. Le uniche differenze, anagrafiche, valgono in ogni Paese».
In una delle sue 21 lezioni per il XXI secolo criticava l’arroganza degli apocalittici, parlano come se sapessero cosa sta succedendo. Serve più l’umiltà per capire ciò che ancora non sappiamo.
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«Nessuna apocalisse e non stiamo vivendo la fine del mondo, abbiamo fronteggiato epidemie più violente per tasso di mortalità, nell’ordine dei milioni: la peste nera nel Medioevo e la spagnola a inizio ‘900. Anche l’Aids, se lo prendevi negli Anni 80 eri spacciato, ora non è così, dopo anni di studi e cure sperimentali. Del Covid abbiamo isolato in poche settimane il codice, sappiamo come si trasmette, in 1-2 anni potremmo trovare il vaccino. Il tempo sembra non passare mai perché siamo chiusi in casa».
Com’è la didattica online?
«Semplifica aspetti organizzativi come assegnare i compiti, dividere in gruppi... Schiacci un tasto e via. Però ignoro l’atmosfera della classe, il grado di interesse e il livello di attenzione. Gli studenti seguono ore e ore di lezioni davanti allo stesso schermo, saranno esausti. Spero di tornare presto alla classe fisica, anche se molti insegnamenti resteranno online. Mi manca la vita sociale dell’università e manca agli studenti. L’università non è un solo un insieme di aule, è fatta di incontri, intervalli, appuntamenti».
TRUMP ZUCKERBERG
Da storico, cosa pensa quando si usa la metafora della guerra?
«Chi contrasta il virus non sono soldati che sparano, ma infermieri che cambiano le lenzuola negli ospedali. Se usi la metafora della guerra poi diventa naturale dare poteri speciali a uomini forti, alla polizia e all’esercito, ai generali, come alcuni vorrebbero qui in Israele. Ma quali competenze ci servono? Quelle di chi sa uccidere o di chi sa curare? Di un generale o un primario? Rinunciare alla democrazia perché solo un leader forte può salvare il genere umano? No. Servono leader più umani. Sa qual è il pericolo maggiore?».
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In termini politici?
«No, in termini assoluti. Il pericolo vero non viene dal virus ma dai demoni interiori del genere umano, come l’odio e la cupidigia. L’odio è frutto di una falsa soluzione: il pericolo sono gli altri. La cupidigia arricchisce pochi, danneggia molti e favorisce il virus».
In molti Paesi certi settori produttivi dicono che il contenimento delle perdite umane non può bloccare l’economia. Diamo un prezzo alla vita umana?
«È difficile da ammettere, ma lo facciamo sempre. Non esistono budget illimitati, van ripartiti: quanto spendo per nuovi farmaci rari e quanto per l’educazione? Quanto per sistemare le strade, e ridurre gli incidenti, e quanto per gli ospedali che curano? Servono priorità. Ora la priorità è sconfiggere il virus, i cui danni sono anche economici, ma non è limitando i danni economici che si sconfigge il virus. Per ora nessun Paese ha sacrificato la salute per l’economia, è un segnale incoraggiante».
La crisi che mette in ginocchio interi Paesi sta arricchendo le grandi aziende digitali come Facebook e Amazon.
stanford university e la silicon valley
«Oggi viviamo un doppio pericolo: che si instauri un regime di controllo giustificato dall’emergenza che resterà in funzione dopo l’emergenza, creando nuovi stati totalitari; e che aziende globali digitali accumulino un potere enorme di cui non devono rispondere a nessuno. Sia chiaro, senza il digitale si sarebbero chiuse le università, niente telelavoro, famiglie in frantumi. Ma c’è un tema politico: come regolamentare chi possiede le infrastrutture tecnologiche che stanno mandando avanti il mondo e invadono le nostre vite? Oggi Zuckerberg è potenzialmente più potente di Trump».
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La sua speranza maggiore?
«Che con la crisi la gente capisca l’importanza della solidarietà globale per le sfide comuni: la salute nostra e del pianeta sono connesse; spero che si inverta la crescita delle destre populiste: la crisi ha rivelato che i populisti non sono in grado di difendere il loro popolo. Serve un nazionalismo migliore».
In che senso migliore?
«Molti mi fraintendono: se incoraggio la solidarietà globale non sto attaccando i nazionalismi. Cos’è il nazionalismo? Amare i tuoi compatrioti. Ma per amarli e difenderli oggi devi cooperare: devi condividere i dati del virus, far collaborare i ricercatori, devi mutualizzare i rischi economici e per evitare ondate di ritorno devi aiutare Paesi restati indietro: se vanno al collasso son guai per tutti. La collaborazione globale è buon nazionalismo, perché è fatta nell’interesse della tua nazione e dei tuoi compatrioti».
MESSICO CITY SILICON VALLEY
Cosa farà, finita la quarantena?
«Vorrei rivedere e abbracciare mia madre e le mie due sorelle. Ho bisogno di stare assieme a loro. Non ce la faccio più a vederle solo attraverso uno schermo».