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    “LA VITA NON È DI DESTRA O DI SINISTRA. È DIGNITÀ. E IO VOGLIO POTER DECIDERE DELLA MIA ESISTENZA” - LO STRAZIO DI MARTINA OPPELLI, 49ENNE TRIESTINA AFFETTA DA SLA, CHE VORREBBE MORIRE "CON DIGNITÀ" GRAZIE ALL'EUTANASIA - LA DONNA HA DENUNCIATO L’AZIENDA SANITARIA, CHE LE HA NEGATO PER DUE VOLTE L’ACCESSO ALLA “MORTE VOLONTARIA” - OPPELLI: “LA MIA È UNA SCELTA PONDERATA E CONSAPEVOLE. LA MIA LOTTA PER OTTENERE IL DIRITTO DI MORIRE CON DIGNITÀ UN ATTO DOVUTO PER TUTTI”


     
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    Estratto dell'articolo di Giusi Fasano per il “Corriere della Sera”

     

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    «La tortura è un furto di umanità», scrive l’Associazione Coscioni in un comunicato che annuncia: Martina Oppelli presenta in procura a Trieste un esposto per tortura e per rifiuto d’atti d’ufficio contro l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asugi). Martina Oppelli è un’architetta triestina, 49 anni. La sclerosi multipla progressiva si è presa quasi tutto di lei, tranne il pensiero e la parola.

     

    È «totalmente dipendente da macchinari, farmaci e assistenza continua per le sue funzioni vitali», ma malgrado questo — dice l’avvocata Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazione Coscioni — l’Azienda sanitaria per la seconda volta le «nega l’accesso alla morte volontaria e ignora la recente sentenza 135 della Corte Costituzionale», condannando Martina «a proseguire in una sofferenza senza fine».

     

    Architetta Oppelli, è arrabbiata per il «no» dell’Azienda sanitaria?

    «No, perché la rabbia ti toglie energia e non ti porta niente. Come potrei arrabbiarmi per i medici che mi hanno curata? Semmai quello che faccio mi costa un dolore molto grande. Il percorso verso la volontà di morire non lo fai con leggerezza, la mia è una scelta ponderata e consapevole. E anche questo esposto: è un atto dovuto, non per me ma per chi verrà dopo».

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    Lei si è detta «basita» perché secondo i medici dovrebbe prendere farmaci che potrebbero forse attenuare il dolore ma che la priverebbero di lucidità.

    «Sono basita, sì, perché mi sembra un compromesso irragionevole. Il mio cervello è lucido e deve rimanere lucido, come la mia capacità di decidere e autodeterminarmi. Io riesco a calcolare le emissioni di CO2 che produrrei con un inutile viaggio per andare in Svizzera a morire, dove per altro mi avrebbero già dato il via libera. Io posso parlarle dell’integrazione del fotovoltaico in architettura e di quanto abbia o no un ruolo per il futuro sostenibile. Sono presente a me stessa e lucida, appunto. E tale intendo rimanere. E poi posso fare un ragionamento?». […]

     

    In che anno la diagnosi?

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    «Nel 2002. Il neurologo, che mi segue ancora oggi, disse: “cammini dritto”, e io zigzagavo; “cammini sulle punte”, e io cadevo, mi scusavo. Alla fine della visita mi disse che o era un tumore al cervello o una malattia infiammatoria.

     

    E da lì cominciai con ricoveri, esami. Alcuni furono così invasivi che non li dimenticherò mai: una volta tornai a casa con la sensazione di aver subito uno stupro. Scoprii che la violazione del corpo non avviene solo per via sessuale. Nel 2006 la prima stampella, nel 2008 la seconda. nel 2009 la sedia a rotelle...».

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    La sua, oggi, è una battaglia politica?

    «No, perché la vita non è di destra o di sinistra. La vita è colorata, è dignità. E io voglio poter decidere della mia esistenza». […]

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