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    LO YANKEE NON DIMENTICA - L’EUROPA RICONOSCE IL DIRITTO ALL’OBLIO SU INTERNET, L’AMERICA NO: “UN PERICOLO PER LA LIBERTÀ D’INFORMAZIONE”


     
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    Federico Rampini per "Affari & Finanza - La Repubblica"

    Il problema della "memoria che non scompare", è al centro della recente sentenza della Corte di giustizia europea. Accolta con reazioni contrastanti, da una parte e dall'altra dell'Atlantico. "Inattesa, potenzialmente rivoluzionaria", l'ha definita il Financial Times. "Sbagliata, pericolosa per la libertà d'informazione", secondo il New York Times.

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    Al centro della sentenza, come spiega il giurista di Harvard Jonathan Zittrain, "è una questione di grande importanza, cioè la capacità di Internet di preservare per sempre qualsiasi informazione su di te, anche la più sgradevole o fuorviante". Cos'ha stabilito la Corte di giustizia? Che abbiamo un diritto all'oblìo, a essere dimenticati, e Google in particolare deve rispettarlo.

    La sentenza si applica a Google perché nasce dal ricorso di un cittadino spagnolo che chiese la cancellazione di un link che dal motore di ricerca portava a una condanna di bancarotta da lui subìta molti anni fa. La Corte ha stabilito che se un cittadino lo chiede, Google deve togliere dal suo motore di ricerca dei contenuti dannosi o lesivi della sua reputazione.

    Per l'industria tecnologica è inaccettabile e le reazioni sono stata durissime. "Si apre la porta a una censura privata su vasta scala", ha dichiarato un rappresentante a Bruxelles dell'associazione di imprese digitali. Va notato che la Corte considera Google responsabile anche se si limita a fornire dei link che portano a contenuti elaborati da altri: giornali, blog, archivi giudiziari, social network. "Questa è una forma di censura, come tale sarebbe considerata incostituzionale qui negli Stati Uniti", secondo Zittrain.

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    La distanza tra Europa e Stati Uniti, in termini di cultura giuridica, diventa sempre più ampia dopo questa sentenza. Non c'è dubbio che il principio europeo si presta ad abusi nella sua applicazione. Uno scrittore potrebbe chiedere la cancellazione dei link che rinviano alle recensioni negative sui suoi libri.

    Un affarista più volte condannato per bancarotta fraudolenta potrebbe costringere Google a far sparire i link che portano al suo casellario giudiziale, in modo che i futuri clienti caschino nella trappola ignari del suo passato. Tanti politici potrebbero esigere che spariscano i link con notizie su processi per corruzione, anche se nel caso di "personalità pubbliche" Google avrebbe la possibilità di fare ricorso e l'ultima parola spetterebbe ai tribunali nazionali (il diritto di cronaca sui politici e altre celebrità è tutelato in modi diversi a seconda dei paesi, anche all'interno dell'Unione europea).

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    In America nulla di tutto ciò è possibile. Il Primo Emendamento della Costituzione protegge la libertà di espressione in un'accezione così estesa che non ha probabilmente eguali al mondo. Eppure anche gli americani si pongono il problema delle conseguenze sulla privacy, nell'èra della Rete.

    In base alle norme Usa è difficile se non impossibile cancellare dei video che riprendono rapporti sessuali filmati clandestinamente da un ex-partner. Interi siti creati da molestatori digitali (cyberstalker) con evidenti scopi di persecuzione, sono protetti come altrettante manifestazioni della libertà di pensiero.

    Giovani donne che sono state vittime di uno stupro, lo hanno denunciato, e hanno ottenuto giustizia, non possono togliere dalla Rete le tracce della notizia, e quella violenza continua a perseguitarle come un evento di dominio pubblico. I motori di ricerca su Internet, osserva il Washington Post, "rendendo ogni tipo d'informazione accessibile dai siti dei giornali o da qualsiasi altra fonte, sono diventati una sorta di coscienza collettiva dell'umanità".

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