Letizia Tortello per “la Stampa”
lorenzo nizzi vassalle alla cerimonia di laurea all'universita' di pisa
Lorenzo Nizzi Vassalle non ha mai sentito un rumore in tutta la sua vita. «Non so neanche immaginarli, io sento con gli occhi», dice. Quando è nato, era uno straniero in famiglia: non udiva, non sapeva leggere il labiale dei genitori, che non potevano interagire. Oggi ha 20 anni, parla e scrive benissimo. Si è laureato con 110 e lode all' Università di Pisa in Lettere Moderne e storia della Comunicazione. Ha trovato lavoro da Cartier a Milano. È la storia di un successo che sembrava impossibile, trasformare il silenzio in voce.
La sua esperienza di super-studente sordo sarà presentata oggi a Roma, al convegno «Università, disabilità, inclusione» per i 20 anni della legge 17 del '99. La racconterà al Presidente Mattarella lui stesso, dal palco.
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Cosa vuol dire avere una disabilità come la sua?
«Sono nato a Viareggio sordo da due genitori udenti e ho vissuto un' infanzia non molto facile, che mi ha fatto soffrire. Da piccolo non sapevo leggere il labiale, i miei parenti non sapevano come comunicare, fin quando, a sei mesi, ho iniziato il "mio percorso" di apprendimento speciale. La famiglia si è rimboccata le maniche e ha fatto molti sacrifici per me: alle poche ore di logopedia messe a disposizione dalla Sanità, mi ha affiancato professionisti, musicoterapeuti per acquisire il senso del ritmo, lezioni private per stare al passo coi programmi scolastici».
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La scuola era preparata adeguatamente ad aiutarla?
«La nostra, malgrado i progressi, è ancora una "disabilità invisibile", ho incontrato migliaia di difficoltà, a cominciare dagli insegnanti che si dimenticavano di me e spiegavano voltati verso la lavagna, ma io per seguire devo leggere le labbra, e se leggo le labbra non riesco a prendere appunti. I compagni, ma soprattutto la mia famiglia e mia cugina sono stati una troupe fantastica, insieme a scuola, istituzioni e associazioni che mi hanno dato supporto. Per questo, parlo con orgoglio di una storia di successo, non solo mio, ma di tutta la società per la piena integrazione».
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Come pensa un sordo?
«Non avendo stimoli uditivi, io sento con gli occhi e penso per immagini. Le protesi mi aiutano, ma non riesco a distinguere i rumori, quel che percepisco è già oro. Io non ho una voce interiore che "ripete" il pensiero, se devo andare al lavoro ho in mente la foto di ogni cosa che devo fare, alzarmi dal letto, vestirmi, prendere l' auto, la vivo dentro di me come un film. Lo stesso procedimento l' ho usato per imparare l' italiano, che è un mare in tempesta. Per noi è molto più complicato interiorizzare modi di dire, figure retoriche, frasi gergali eccetera».
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La società la aiuta o la isola?
«Nel mondo dei non sordi, destreggiarsi con difficoltà quotidiane, come non poter cogliere l' annuncio di un binario che cambia alla stazione, è un freno che porta facilmente all' isolamento. Devi avere attenzione doppia, pazienza con le persone, e mi creda, è molto stancante. Io però mi sento integrato, vivo da solo a Milano, lavoro nel mondo dei gioielli, che era il mio sogno».
Le nuove tecnologie vi sono d' aiuto? In che modo?
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«Questo è stato l' oggetto della mia tesi su sordità e nuovi media. Per assurdo, noi sordi al tempo del cinema muto partecipavamo più facilmente alla vita sociale e al mondo dell' informazione. Abbiamo potuto tornarci negli Anni 80, con i primi film sottotitolati. Internet oggi, dalla rete alle serie tv, ci hanno restituito importanti diritti».
L' Italia non riconosce ancora la Lis come lingua. Le fa rabbia?
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«Siamo l' unico Paese in Europa rimasto a non avere una legge sulla lingua dei segni. Trovare interpreti Lis permetterebbe ad esempio un pieno accesso al patrimonio artistico. Non solo.
Molti pedagogisti del Nord Europa ritengono che l' apprendimento della Lis (che io ho conosciuto solo dopo i 18 anni), aiuti anche i bimbi udenti a imparare meglio la lingua madre orale e scritta».
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