Jaime D’Alessandro per “Affari&Finanza-la Repubblica”
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Un ponte temporaneo, una piattaforma flottante, un camminamento lungo le sponde dei canali costruiti con delle piattaforme modulari arancioni. Ma non solo: serviranno soprattutto a trasportare persone e merci. Ad Amsterdam le hanno chiamate Roboat, sciarada fra i termini inglesi “robot” e “boat” (barca).
Il risultato è una strana nave a guida autonoma che si può unire ad altre formando strutture mobili. Fra cinque anni, condotta da una intelligenza artificiale, comincerà a navigare fra i canali della capitale olandese passando sotto i suoi mille e cinquecento ponti. Forti di un boom edilizio che veleggia oltre i diciassette punti percentuali, nei Paesi Bassi già guardano ad un possibile disastro della mobilità per sovraffollamento. E così ecco le barche robot prive di conducente sul quale sono stati già puntati 25 milioni di euro.
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Dietro c’è l’Ams Institute, nato nel 2013. In parte pubblico e in parte privato, il suo acronimo sta per Amsterdam Institute for Advanced Metropolitan Solutions e parte da una costatazione banale: in futuro il tasso di urbanizzazione difficilmente diminuirà, servono quindi soluzioni avanzate.
Per Amsterdam, ma anche per Venezia, Parigi, Budapest, Roma o qualsiasi altra città attraversata da corsi d’acqua, le barche a guida autonoma per spostare merci e cittadini potrebbero essere una di queste. È il primo programma su larga scala nel suo genere e ha già all’attivo un prototipo messo in acqua ad Amsterdam nei giorni scorsi. Assieme all’Ams lavora il Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston con il suo Senseable City Lab diretto dal torinese Carlo Ratti. «La guida autonoma? Non c’è dubbio che sia nel dna futuro dei centri urbani», racconta Ratti. «Spesso si pensa solo alle automobili, ma quelle sono solo un tassello del puzzle. La sperimentazione e i progetti pilota di consegne a domicilio da parte di piccoli robot è già una realtà in diversi Paesi e la sperimentazione è partita anche in Italia. Per non parlare dei droni e di una serie di veicoli che con la macchina hanno un legame di parentela ».
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L’automobile è nata per trasportare una famiglia, non a caso ha di media quattro o cinque posti. Ma quando il sistema di trasporto diventa su misura, offrendo la possibilità di richiamare il mezzo più adatto con un’app secondo le situazioni, si aprono le porte a veicoli che rispondono alle singole esigenze. «Può esser quella di trasportare una sola persona o un pacco, o ancora per raggiungere un certo luogo sfruttando i canali in una città come Amsterdam », dice Ratti. Il segreto, che poi ormai tanto segreto non è, è cercare di immaginare delle soluzioni che non richiedano investimenti infrastrutturali pesanti, che le amministrazioni pubbliche non possono fare se escludiamo le eccezioni come Singapore o Dubai. Come insistono al Mit, si tratta invece di «usare meglio le infrastrutture esistenti e quindi nell’usarle meglio usurarle meno». Non tutti sono in prima linea e soprattutto quella prima linea è fatta di progetti variegati.
A Los Angeles, dove stanno iniziando ad intascare le prime rate di quei 120 miliardi di dollari che verranno spesi in venti anni nel più grande piano per la viabilità mai varato negli Stati Uniti, pensano a un corridoio per la guida autonoma che colleghi il porto a sud con il centro della città oltre a ventiquattro nuove linee della metropolitana e aree speciali per sperimentare la consegna con i droni. A Singapore stanno dispiegando il più ampio sistema per la mobilità integrato e provando per i taxi volanti che dovrebbero fare la loro prima apparizione nei prossimi mesi anche a Dubai e in seguito a Tokyo (per quanto fantascientifico possa suonare).
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Questo significa che nel giro di venti anni la distanza fra metropoli avanzate e quelle rimaste indietro si amplierà. Nello stesso Paese conviveranno tessuti urbani appartenenti ad epoche completamente diverse. E non si tratta, per nostra sfortuna, solo di questione meramente urbanistica. «Il re del Belgio, Filippo, ci ha chiesto di studiare la frammentazione della città di Bruxelles per comprendere come sia possibile che dalla sua capitale è partito il più alto numero di combattenti dell’Isis in relazione alla popolazione », continua il direttore del Senseable City Lab del Mit. «L’analisi dei dati può dire molto della segregazione urbana.
Ma bisogna creare aree di sperimentazione. “Zone speciali”, le chiamerebbero i cinesi, dove si possono mettere in pratica idee che non necessariamente prederanno piede ma che permettono di scegliere le soluzioni più adatte». Tornando alle barche a guida autonoma, l’Ams e il Mit non sono gli unici che le stanno mettendo a punto. Nella stessa Boston di Ratti, la Sea Machines Robotics ha varato con successo un’imbarcazione condotta da un’intelligenza artificiale. Ma loro non mirano solo a decongestionare le strade della città, quanto a realizzare un sistema che possa portare container dagli Stati Uniti a all’Europa con un’efficienza ben superiore a quella attuale. «Un equipaggio può distrarsi e può stancarsi», ha commentato Michael Johnson, amministratore delegato della compagnia ed ingegnere marittimo che in passato ha lavorato in Italia al recupero della Costa Concordia, naufragata nel 2012 per l’imperizia del capitano Francesco Schettino.
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La Yara International in Norvegia, che produce ed esporta fertilizzanti, sta seguendo il medesimo percorso mentre la Rolls-Royce quest’anno nel porto di Copenhagen ha mostrato il suo prototipo di barca smart. Il novanta per cento degli scambi commerciali avviene via mare ed è un settore che occupa a un milione e mezzo di persone. Su scala globale la perdita di quei posti di lavoro per le barche a guida autonoma forse non si avvertirà poi così tanto, se non nelle Filippine da dove provengono un terzo dei marinai. Ma è comunque un numero del quale bisognerà tenere conto e che si aggiunge alle altre vittime designate dell’era dell’intelligenza artificiale.
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