Luca Pallanch per "la Verità"
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Luc Merenda, l' idolo delle donne negli anni di piombo, è tornato in Italia per presentare la sua autobiografia, La mia vita a briglie sciolte (a cura di Marina Crescenti, edizione Bloodbuster).
Una vita avventurosa, in una famiglia bizzarra, ispirata dai sogni del padre, un architetto di Lugano di nobili origini, che dopo aver fatto furori ad Agadir aveva comprato un monastero in Provenza. Amava i film americani il padre e Luc, come in un film hollywoodiano, si ritrovò a New York a fare il cameriere, ma era troppo bello per servire ai tavoli e troppo virile per ridursi al ruolo di fotomodello. Sfonderà nel cinema, ma la sua Hollywood la troverà a Cinecittà.
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Con il suo inconfondibile accento francese e una classe innata, Luc, per nulla sfiorato dai suoi 74 anni, si gode il ritorno nella sua patria d' adozione, che lo accolse a braccia aperte agli inizi degli anni Settanta.
Il tuo arrivo a Roma è stato trionfale...
«Il mio patrigno pensava di poter entrare a Roma via mare, la gente ci salutava sulle sponde del Tevere, ma mica ci hanno avvertito che il fiume non era navigabile.
Ci siamo incagliati e siamo stati costretti a prendere un taxi! Quando sono arrivato a Roma, ho capito che questo è il posto dove volevo stare».
Il tuo primo film italiano è stato un western, Così sia, diretto dall' attore e maestro d' armi Alfio Caltabiano.
«L' ho incontrato nell' ufficio del produttore Turi Vasile. Un personaggio stupendo, intelligente e colto. Avevano detto a Caltabiano che avevo fatto la savate, la boxe francese.
Allora lui si alza e mi dice: "Com' è la savate?". «Sono le battaglie di strada". "Dai, fammi vedere...". "No, tu sei un bel regista!". Non volevo fargli male.
Ma lui insisteva, allora mi sono girato e gli ho tirato un rovescio... era così alto che invece di colpire la testa, ho preso il suo gomito! Ha detto a Vasile: "Scelto" e così mi hanno preso per Così sia».
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Eri venuto in Italia con altre ambizioni.
«Quando sono arrivato in Italia, la mia agente, che lo era anche della Bardot, mi ha fatto una lista di cinque registi che valeva assolutamente la pena di avvicinare: Visconti, Bolognini, Patroni Griffi, Pasolini, Zeffirelli. Ho cominciato a riflettere e mi sono reso conto che erano cinque grandi registi omosessuali.
Le ho telefonato e le detto: "C' è un messaggio che non ho capito?". Li ho incontrati tutti, ma non ho avuto la fortuna di lavorare con loro».
In Francia avevi già lavorato con grandi registi.
«Avevo già fatto qualche film, in particolare Inchiesta su un delitto della polizia di Marcel Carné, con il cantante Jacques Brel.
Aveva un carisma incredibile: siamo andati in un night a Aix-en-Provence, dopo mezz' ora hanno tolto la musica e Brel ha tenuto tutta la notte 3-400 persone ad ascoltare racconti sulla sua carriera».
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La polizia era nel tuo destino...
«In realtà ho cercato sempre di uscire dal cliché del commissario. Non volevo fare sempre lo stesso film. Altri attori hanno interpretato sempre lo stesso tipo di poliziotto.
Luciano Martino, che ha ne prodotti alcuni, mi consigliava di prendere i soldi e continuare a girare film polizieschi. Io gli ho risposto: "Se volevo entrare nella polizia, l' avrei già fatto!". Era un grande personaggio Luciano.
Diceva: "Io faccio sempre film brutti, ma li faccio uscire al momento giusto!". Questo era il suo segreto».
Sei stato forse il primo a interpretare un commissario totalmente negativo, in Il poliziotto è marcio di Fernando Di Leo.
«Sono stato contentissimo di fare questo film per dimostrare che ci si poteva opporre ai corrotti, soprattutto a quelli che, detenendo un potere, possono fare danni gravissimi. Di Leo era eccezionale: era un uomo generoso e aveva contatti con tutti gli strati sociali. Era un osservatore: vedeva, digeriva e scriveva».
Tomas Milian, che è stato un tuo alter ego negli anni Settanta, era l' idolo dei balordi. Tu piacevi di più ai trucidi o agli sbirri?
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«A tutti: Regina Coeli, borgatari e pariolini! E piacevo sia agli uomini che alle donne. Avevo la fortuna di avere un pubblico larghissimo».
Quando hai incontrato per la prima volta Tomas Milian?
«Sul set di La polizia accusa: il servizio segreto uccide di Sergio Martino. Sergio mi disse che Tomas attraversava un difficile momento personale e mi chiese di essere gentile con lui.
E io: "Mai mangiato un cubano a colazione!". Si sentiva che non era una persona facile: quando tentavo di entrare in comunicazione con lui, chiudeva le tende.
Ci ho provato tante volte, poi a un certo punto gli ho detto: "Tomas, mi sembri un tipo eccezionale, però visto che non sei interessato ad avere uno scambio, ti auguro tanto successo, come hai avuto finora"».
Vi contendevate i ruoli...
«Dovevo interpretare io Er Monnezza. Il produttore Galliano Juso era molto bravo a raccontare le storie e aveva idee geniali. Mi propose la parte. "Chi è il regista?". "Umberto Lenzi...".
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L' avevo solo sentito nominare. Chiesi allora di vedere un film, ma non mi piacque. Non c' era ancora un copione, per cui decisi di non farlo. Galliano, che ho rivisto con piacere dopo molti anni, dovrebbe ringraziarmi: ho rifiutato di farlo e il personaggio è stato portato al successo da Tomas Milian!
Ma non avrei mai potuto farlo come lui. A Tomas piaceva travestirsi, perdeva i capelli, quindi si metteva le parrucche... io invece alla mia età ho ancora i capelli!».
Hai diviso il set con altri personaggi sopra le righe. Su tutti, il pugile Carlos Monzon.
«Giravamo a Trani Il conto è chiuso di Stelvio Massi. Monzon, una sera, si scocciò e disse: «Andiamo tutti a ballare!». Allontanò la sua bellissima compagna Susana Giménez e noi pensammo "che maschilista!".
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Al ritorno in albergo era ubriaco, noi reggevamo meglio l' alcol; forse lui, come atleta, non era abituato. Danilo, il figlio di Massi, mi disse che voleva parlarmi di un suo soggetto per un nuovo film e ci ritirammo in camera.
Dopo un po' sentimmo delle urla terribili. Era Susana. Chiunque senta delle urla di una donna si precipita, se invece è un uomo a gridare, corre meno veloce!
Esco nel corridoio e vedo Susana nuda e Monzon che la picchia: lei era come un birillo sotto i suoi colpi. Torno in camera, prendo una sedia, così posso colpirlo di spalle, ma Danilo mi ferma: "Datti una calmata, non sono affari tuoi". Mi ha salvato la vita!».
Quando non beveva com' era?
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«Ho sempre pensato che fosse meglio incontrarlo su un ring con un arbitro! Avevo soprannominata Susana "la ragazza senza..." perché nessuno della troupe osava guardarla.
Io, invece, quando la incontravo la salutavo affettuosamente e mi aspettavo sempre di prendere una botta in testa da Monzon!».
Non accettavi di farti rubare la scena...
«Ho avuto problemi solo con Steve McQueen, con cui ho lavorato in Le 24 ore di Le Mans, e con Alain Delon, con cui ho fatto Sole rosso.
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Erano dei gran figli di... lo dico con dolcezza! I piloti erano costretti a far passare McQueen a Le Mans perché lui non sopportava di stare dietro di loro.
Mentre per colpa di Delon mi avevano rifiutato la parte per Sole rosso, poi sono riuscito a ottenerla lo stesso e il regista Terence Young, dopo dieci giorni di riprese, mi ha detto: "Capisci perché ti avevo rifiutato? Potevi fare solo la parte di Delon, non potevo metterti accanto a lui". O io o lui!
Ho lavorato con molti grandi attori senza problemi, Richard Conte, Lee J. Cobb, Mel Ferrer. Invitavano ad andare nella loro roulotte chi non ce l' aveva.
Prova ad andare nella roulotte di Delon... Giravamo in Spagna e lui passava con la Limousine a tutta velocità, mentre noi avvolti dalla polvere aspettavamo l' autobus!
steve mcqueen
Anche alcuni attori italiani erano sublimi: Enrico Maria Salerno, Gabriele Ferzetti, Ugo Tognazzi, che però aveva solo un pensiero in testa... e infatti mi propose di fare Cattivi pensieri, che doveva dirigere.
Mi disse che avrebbe preso come amanti Fabio Testi, Franco Nero, Tomas Milian e io gli risposi: "Guarda, non sono un indovino, ma non avrai nessun altro, oltre a me" e infatti l' anno dopo lo feci solo io.
Nel libro parlo degli stronzi che ho conosciuto, ma solo perché c' è meno possibilità di fare dell' humour sulle persone che ami!».
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Nella tua terza o quarta vita hai fatto l' antiquario, con grande successo. Un ricordo della tua attività?
«È legato sempre al cinema. Giravamo un film a Portofino, L' uomo senza memoria di Duccio Tessari. Abbiamo girato nella villa di Leopoldo Pirelli. Anni dopo, in Francia, abbiamo organizzato una mostra di antiquariato con mia moglie e un giorno è arrivata una persona che puzzava di classe e mi ha comprato dei templi cinesi dell' Ottocento. Mi ha firmato un assegno, ho guardato il nome: Leopoldo Pirelli! E io: "Come Goodyear?". Lui ha riso. Ci siamo visti varie volte.
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Prima di morire, è arrivato da Milano con il suo aereo personale, attaccato alle bombole di ossigeno, per salutarci!
Ha visto la mia casa e mi ha detto: "Se ci fossimo conosciuti prima, ti avrei chiesto di decorare le mie case in Sardegna". Che stile!».