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    ''SE WARHOL FOSSE VIVO, SAREBBE UN NOVANTENNE FICHISSIMO, COL PROFILO INSTAGRAM PIÙ SEGUITO AL MONDO''. LUCA BEATRICE CURA LA MOSTRA 'WARHOL & FRIENDS'' A BOLOGNA, DAL 29 SETTEMBRE. E DAL 3 OTTOBRE SEMPRE ARTHEMISIA APRE UN'ALTRA ESPOSIZIONE AL VITTORIANO DI ROMA, CON DUE INEDITI DA COLLEZIONI PRIVATE. E POI CI SAREBBERO I MUSEI VATICANI, CON UN EVENTO DAL CALENDARIO INCERTO…


     
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    warhol & friends bologna warhol & friends bologna

    Valeria Arnaldi per “il Messaggero

     

    «Se Warhol fosse vivo, sarebbe un novantenne fichissimo, il suo profilo Instagram sarebbe il più seguito al mondo e Chiara Ferragni non esisterebbe o quasi». Luca Beatrice, curatore della mostra Warhol & Friends. New York negli anni 80, prodotta dal Gruppo Arthemisia - a Bologna, a Palazzo Albergati, da sabato al 24 febbraio, non ha dubbi - a novant' anni dalla nascita, il 6 agosto 1928 e, più ancora, a 31 dalla morte, il 22 febbraio 1987, Warhol è più vivo che mai e capace di riservare sorprese.

     

    Non è un caso che, pressoché nello stesso periodo, a Roma, al Complesso del Vittoriano, il 3 ottobre, il medesimo Gruppo, qui con Eugenio Falcioni & Art Motors srl, apra al pubblico l' esposizione Andy Warhol, a cura di Matteo Bellenghi, che proseguirà fino al 3 febbraio e vanta due inediti da collezioni private. Senza dimenticare che, per il 2019, era stata annunciata ai Musei Vaticani una mostra di opere religiose del padre della pop art, poi rimandata a data da destinarsi, in quello che è diventato un giallo nel mondo dell' arte.

    warhol al vittoriano warhol al vittoriano

     

    IL PERSONAGGIO

    «Warhol ha bisogno di tante esposizioni - dice Bellenghi - perché ogni volta che si analizzano le sue opere si scopre qualcosa di nuovo». Le mostre a Bologna e Roma raccontano il mondo e la personalità di Warhol, soffermandosi su uomo e artista, personaggio e, già in vita, di fatto, icona.

     

    «Warhol è una miniera inesauribile di spunti e idee - commenta Beatrice - di solito il momento più importante del suo lavoro si lega agli anni 70, è vero, ma negli '80 è tornato ad essere il punto di riferimento di una New York caratterizzata dal benessere economico e dalla grande enfasi sul mercato dell' arte. È stato un guru per figure come Jean-Michel Basquiat e Keith Haring».

     

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    Attraverso circa 150 opere, il percorso bolognese, articolato in undici sezioni, va da alcune delle opere più note di Warhol fino alla consacrazione della street art con Basquiat e Haring, ma anche Ronnie Cutrone, Kenny Scharf e gli artisti della mostra The Times Square Show, passa poi ai nomi di un' altra esposizione storica, New York/New Wave- la location, PS1, nei decenni è cresciuta fino a diventare sede espositiva del MoMA - e alla Transavanguardia internazionale con Sandro Chia e Francesco Clemente.

     

    Indaga la filosofia warholiana del ritratto - «Ometti sempre i difetti: non fanno parte della bella immagine che vuoi ottenere», affermava - le Polaroid, Jeff Koons, il fenomeno delle donne artiste, da Kiki Smith a Nan Goldin. Senza trascurare i primi anni della relazione tra Robert Mapplethorpe e Patti Smith. Fino all' analisi della fine del decennio.

     

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    «Gli Anni Ottanta hanno su di sé il grande spettro dell' Aids - dice Beatrice - all' inizio non si conosceva, alla fine sono centinaia le vittime anche nel mondo della cultura newyorkese. Muoiono così Haring e Mapplethorpe. Basquiat, di overdose. Il decennio che sembrava felice si fa metafora di qualcosa che preferisce bruciare velocemente».

     

    Monumentale e articolata pure la mostra che Roma dedica a Warhol, che, con oltre 170 opere, ne ricostruisce la vita, partendo dal 1962, con la serie di serigrafie Campbell' s Soup, arrivando alle sue icone. In questa sezione gli inediti. «Si tratta di personaggi già presenti nei lavori noti di Warhol - dice Bellenghi - ma in pose diverse. Si riconferma la sua ossessione per la ripetitività».

     

    Non mancano richiami alla Factory, frequentata, tra gli altri, da Bob Dylan, Truman Capote, John Lennon, Jack Kerouac, Salvador Dalì, Rudolf Nureyev e molti altri. «Ho studiato una serie di sezioni per aiutare a comprendere meglio e a 360 gradi il personaggio di Warhol - prosegue - dal rapporto con la musica, penso alle cover dei dischi di Velvet Underground & Nico e ai Rolling Stones, allo star system, fino al mondo della moda, con ritratti di Giorgio Armani, Regina Schrecker, Ernesto Esposito.

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    Ci sono disegni di quando lavorava come illustratore per diverse testate e una sessantina di Polaroid, nonché acetati». Sotto i riflettori, l' attualità di Warhol. «È ancora assolutamente contemporaneo, sia per merito suo, sia degli artisti giovani. Non a caso, si parla spesso di manierismo pop contemporaneo». Presente un accenno di religiosità. «In mostra c' è Sant' Apollonia - annuncia Bellenghi - Warhol aveva ereditato la religiosità dalla madre, molto credente».

     

    LETTURA FINALE

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    «L' esecuzione del ciclo dell' Ultima Cena poco prima della morte ha portato alcuni a darne una lettura finale, in realtà, secondo me, per Warhol tutto era pop, anche Cristo», aggiunge Beatrice che, con David Breslin e Carrie Springer, cura pure Pollock e la Scuola di New York, che dal 10 ottobre al 24 febbraio porta a Roma, al Vittoriano, uno dei nuclei più preziosi del Whitney Museum di New York. Esposti circa 50 capolavori, da Jackson Pollock - perfino Number 27, tela iconica lunga oltre 3 metri - a Mark Rothko, da Willem de Kooning, a Franz Kline.

     

     A essere illustrata è la rivoluzione dell' Action Painting. «La morte di Pollock segna il definitivo ingresso nell' arte contemporanea - spiega Beatrice - perde la vita in un incidente stradale, in auto con due donne: si spegne così l' ultimo grande eroe romantico secondo la visione dell' artista che unisce genio e sregolatezza».

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