Luca Beatrice per “Libero quotidiano”
LUCA BEATRICE
E se fosse proprio il Burning Man l'opera d'arte più rappresentativa di questo ventennio abbondante che nel nuovo secolo ancora non sembra aver offerto indicazioni precise su ciò che è e potrebbe essere la creatività contemporanea?
Il mega evento di Black Rock City, una città nel deserto del Nevada che esiste per poco più di una settimana all'anno, di cui quasi tutti abbiamo sentito parlare e pochissimi hanno avuto l'occasione e la fortuna di visitare, mancava da due anni a causa del covid; attesissima, quindi, questa nuova edizione che chiuderà domani mentre sabato notte, ora Usa, è stato bruciato il grande pupazzo di legno, rito propiziatorio come da tradizione del sabato.
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Nonostante l'aumento di popolarità, culminato con l'arrivo dei vip e le star di Hollywood, le regole d'ingaggio al Burning Man rimangono piuttosto rigide proprio come nel lontano 1991 quando i partecipanti erano appena qualche centinaia.
È ancora un esperimento comunitario del tutto autosufficiente: ogni partecipante deve portare attrezzatura da campeggio, generatori di elettricità, cibo, acqua e nulla è ammesso in vendita tranne ghiaccio e caffè. I soldi qui non entrano, sono possibili baratto o dono; i cellulari non funzionano, su videocamere e macchine fotografiche i controlli sono rigidi, le escursioni termiche sono pazzesche, oltre 40 gradi di giorno mentre di notte la temperatura scende fino al freddo.
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SCONOSCIUTI
Chi ci vuole andare ed è disposto a pagare un biglietto di 425 dollari deve organizzare con molta cura questo viaggio non potendo dunque contare su alcuna struttura in loco. Il pubblico medio è rappresentato dall'hipster creativo, amante della bicicletta, di stanza a New York o in California, che vede in questa forma di radicalismo una sorta di riscatto dalla vita quotidiana basata sul profitto e sul successo.
Un "hotel del ritorno alla natura" dove si dorme per terra o sul camper e si assiste per una settimana a spettacoli di teatro, danza e dj set, installazioni d'arte nate per l'occasione e distrutte a fine manifestazione. Nessun grande nome partecipa, anzi non verrebbe proprio accettato, perché la regola è quella di un sistema molto democratico senza prime donne.
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Almeno in apparenza, perché un evento così esclusivo non poteva non attrarre i famosi d'America. Negli anni scorsi ci sono stati attrici e cantanti come Susan Sarandon, Katy Perry, Paris Hilton, Cara Delevigne, forse persino Jeff Zuckelberg e Jeff Bezos, tant' è che gli organizzatori hanno dovuto organizzare un aeroporto per i loro jet privati.
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Si respira un clima da Woodstock ma senza le rockstar e la creatività naviga spontanea, includendo linguaggi non proprio compresi nella lista di ciò che davvero fa contemporaneo. Gli addetti ai lavori, parlando di arte, storcono il naso proprio perché non riescono a controllare e regimentare questo flusso di energia che, come è ovvio, include espressioni molto interessanti, altre al limite del naif e soprattutto non monetizzabili.
Non succede però la stessa cosa anche nelle fiere internazionali e nelle biennali, Basilea e Venezia comprese? Con la differenza che a Burning Man non c'è nessun curatore o comitato a dire sì o no, ma l'espressione dei bisogni creativi di tanta gente, circa 80mila persone in questa nuova edizione, senza un sistema che li sorregga e li giustifichi.
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Il contesto culturale, peraltro, è simile a quello in cui originò la Land Art di Walter De Maria e Robert Smithson con le loro gigantesche installazioni in paesaggi inospitali e violenti, molto simile alla grande esplosione finale che vedemmo in Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni.
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Prima di entrare nei grandi musei queste forme d'arte venivano considerate troppo estreme e un destino del genere potrebbe toccare proprio a Burning Man al di là del successo crescente. Il nostro tempo, che fa fatica a esprimere nuovi linguaggi, tendenze, gruppi, ora che il Global North, America compresa, sta perdendo il centro dell'attenzione per la fatica di comprendere il mondo della globalizzazione, mentre va di moda, spesso in maniera velleitaria, il Global South di paesi "nuovi" per il mondo dell'arte, nel Burning Man c'è un'essenza rivoluzionaria e innovativa, sorpassa il sistema e ne cavalca la crisi, rifiuta ruoli prestabiliti, boccia l'iper-individualismo degli artisti "da galleria" e propone forme nuove di aggregazione temporale che assomigliano più al festival che alla mostra in quanto creano lo stato d'attesa. Sarebbe sordo far finta di non capire e continuare a parlare di fighetti e hypsteroni: da Black Rock City vien fuori una dose d'energia che altrove te la scordi
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