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    "NON CREDO CHE IL CINEMA SIA MORTO, TROVO QUESTO DISCORSO UN PO' STUPIDO" - LUCA GUADAGNINO RACCONTA IL SUO AMORE PER IL DESIGN: "C'È QUALCOSA DI "EROTICO" NEL DISEGNARE I MIEI AMBIENTI? MI PIACE L’IDEA CHE POSSA ESSERE CONSIDERATO UN EROTISMO DA UN LATO AUSTERO E DALL’ALTRO DI...." -  INTANTO IL REGISTA HA ANNUNCIATO IL SEQUEL DI "CHIAMAMI CON IL TUO NOME"…


     
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    1. LUCA GUADAGNINO, UN SEQUEL PER “CHIAMAMI COL TUO NOME”

    Giovanni Berruti per la Stampa

     

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    Luca Guadagnino è determinato. Chiamami col Tuo Nome avrà un sequel. Dopo la presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia di Bones and All, pellicola che è stata accolta dal pubblico e dalla critica, il regista si è mostrato ancora particolarmente interessato alla realizzazione di un seguito del suo film di successo del 2017 con Timothée Chalamet e Armie Hammer.

     

    «Il sequel è un concetto molto americano – ha dichiarato Guadagnino a Indiewire – Si tratterà piuttosto delle cronache di Elio (Chalamet), le cronache di un ragazzo che diventa uomo. È questo che voglio fare».

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    Le dichiarazioni del regista sono chiare. Probabilmente non ci sarà spazio per Armie Hammer, che nel precedente film interpretava Oliver. L’attore è stato infatti travolto da uno scandalo che lo ha visto accusato di cannibalismo e violenza, che oltre ad aver avuto ripercussioni sulla sua carriera, è diventato da poco oggetto di un documentario di Discovery+, House of Hammer.

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     Ma Guadagnino ha tenuto a precisare che Bones And All, incentrato sulla storia d’amore tra due giovani cannibali, non ha alcuna correlazione con questa vicenda: «Non ci avevo pensato. Me ne sono reso conto soltanto quando ho cominciato a sentire qualche allusione sul web. Questo progetto, tratto da un libro abbastanza popolare, era in sviluppo da anni prima che mi venisse sottoposto nel 2020 da David Kajganich (lo sceneggiatore). Qualsiasi collegamento con altro esiste solo sui social, che io neanche utilizzo»

     

    2. LUCA GUADAGNINO E L’EROTISMO DEL DISEGNARE GLI INTERNI

    Carlo Antonelli per www.domusweb.it

     

    Premessa dell’autore: io e Luca Guadagnino siamo amici.

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    Qual è la domanda che ti fanno e che ti colpisce più profondamente?

    Quando qualcuno si avvicina a me e mi chiede: posso riuscire a fare questa cosa nella mia vita?

     

    Tu ci sei riuscito?

    Io credo di aver avuto sempre chiara l’idea di cosa volevo fare, di chi volevo essere e di chi ero. E quindi in questo senso ero già a metà dell’opera. Perché poi il resto è stato semplicemente come mettere in atto piani quinquennali.

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    C’è uno slogan di una serata queer di Roma che stiamo usando molto, che ha un cartello iniziale che dice: “Vieni a prenderti quello che ti meriti: tutto”.

    La penso esattamente così, sempre e soltanto se questo tipo di slogan lo recitiamo in una chiave che si deflette in un immaginario critico e sovversivo. 

     

    Quindi il lavoro della progettazione lo ritieni politico?

    Beh, questa domanda potrebbe generare una risposta che si presta a creare sorrisi, quindi non rispondo.

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    Rispondi e basta, dai.

    Non rispondo perché la ricerca della forma è una cosa che non si misura con il tempo dell’attualità. 

     

    Stai parlando anche di un riferimento al design politico specie degli anni 70.

    Assolutamente, io ho avuto il privilegio grazie a te di poter conoscere il grandissimo Enzo Mari e la grandissima Lea Vergine. Due esseri sublimi...

     

    No, sto parlando proprio di design marxista, di design per la radicale trasformazione della società.

    Non credo di lavorare al design marxista, io, sinceramente. Sarebbe ridicolo che lo dicessi. Conosco perfettamente l’eredità straordinaria di Mari e il significato della sua progettazione ‘sociale’, ma non mi permetterei mai di mettermi accanto a una voce così radicale e profonda come la sua.

     

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    Quindi stai facendo un lavoro diciamo più decorativo?

    No, non credo, perché noi lavoriamo molto con lo spazio, quindi forgiamo lo spazio. Non siamo chiamati semplicemente a decorare uno spazio ma proprio a farlo, questo spazio. Più di un progetto che abbiamo fatto aveva proprio come suo punto di partenza la ricodificazione radicale di un luogo. Quindi no, non credo. Credo che lavorando con l’alto artigianato, con cose che devono essere uniche, con pezzi unici, lavoriamo con il concetto di “fatto a mano”, diciamo, che è una cosa che non passerà mai, ed è un classico.

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    Questo fondo di alto artigianato ti affascina più della produzione industriale?

    Devo dire che non mi interessa affatto la produzione industriale. In questo senso è una resistenza a un certo tipo di sovrapproduzione che è semplicemente produzione di spazzatura futura.

     

    Non dirmi il discorso ecologico, ti prego.

    No no, non sto parlando affatto del discorso “sostenibile”. Sto parlando del fatto che la produzione industriale è una produzione che è destinata a una durata minima e in questo senso, anche a livello formale, ha una vita limitata.

     

    Pensi che ci sia qualcosa di erotico nel tuo modo di disegnare ambienti?

    Mi piace l’idea che possa essere considerato un erotismo da un lato austero e dall’altro di piaceri che non inaspettati e voluttuosi. Un po’ come il personaggio di quel film meraviglioso di Barbet Schroeder Maîtresse, con Bulle Ogier. Che aveva infatti un bellissimo appartamento borghese…

     

    Perché lo fai?

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    La pratica dello studio di interior design e di architettura è una pratica che in questo momento non produce ricchezza. Produce la ricchezza di fare cose che amiamo fare. Io amo semplicemente lavorare coi miei architetti.

     

    Facciamo un elenco delle cose che sono in questo momento sono in progettazione.

    Per lo studio? Stiamo facendo una penthouse a Milano, una villa al Lido di Venezia, un albergo a Roma, gli uffici di una grande agenzia di cinema a Los Angeles. Tra le altre cose stiamo lavorando allo sviluppo di alcuni oggetti specifici per alcuni grandi artigiani del vetro, della porcellana, dei tappeti…

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    E poi c’è Fontana Arte.

    Abbiamo realizzato la nostra prima collaborazione coi grandissimi amici di Fontana Arte, per i quali abbiamo disegnato una applique. La linea si chiama Frenesi. Saranno appliques, abat-jours, piantane e un lampadario.

     

    E come definisci la lampada? È un’onda?

    È una striscia ondulata che fa pensare ai piaceri vissuti nella propria vita.

     

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    Scusa?

    Deve far pensare ai piaceri che uno ha vissuto nella propria vita, perché questa sorta di verticale rigorosità che viene spezzata da una sensuale ondulatezza a me fa venire…

     

    Ti fa venire in mente il passato?

    Fa venire in mente i piaceri che puoi avere vissuto e poi magari i piaceri che vuoi vivere.

     

    Presto uscirà un tuo film sul mondo del tennis che si chiama Challengers.

    Non conoscevo il tennis, l’ho scoperto facendo il film e devo dire che mi appassiona abbastanza. Credevo di non essere in grado di toccare palla neanche una volta con una racchetta e invece ci riesco. Sono sorpreso da questo.

     

    Sai che i cinema in Italia sono vuoti?

    Lo so. L’Italia è strana come caso, negli Stati Uniti no.

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    Pensi ancora che il cinema abbia una forza in questo momento?

    Il cinema ha di fatto una forza straordinaria!

     

    Ma non è vero. Ci sono intere generazioni che non riescono a seguire nemmeno 10 minuti.

    In parte è vero e in parte non è vero. Gli studi dicono che il pubblico più importante per il cinema oggi è quello dei 20-30enni. Perché quando fai un film come Everything Everywhere All at Once, un film sul metaverso con Michelle Yeoh e riesci a fare su 70 milioni di dollari di guadagno in sala, vuol dire che il pubblico, e il demoscopico, è quello, cioè 18-32…

     

    Ti interessa quest’ingegneria del pubblico ormai? Questo marketing di precisione hollywoodiano sta cominciando ad affascinarti?

    Non mi ha mai affascinato, però ci sono degli elementi conoscitivi su cui bisogna ragionare.

     

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    Perché tu prima sei sempre andato alla cazzo, no? Lo dico con ammirazione, come complimento.

    Ma io non vado né alla cazzo né alla Hollywood. Io penso che il film abbia una durata nel tempo molto più lunga della sua durata in sala. Sicuramente. Ma non credo che il cinema sia morto, con tutti che vogliono ampiamente celebrarne il funerale. Trovo che sia un discorso un po’ stupido e un po’ banale. Beh, certo, l’Italia è un caso molto diverso. Ma basta pensare per esempio al centro di Roma e al modo in cui la città è stata svenduta in maniera scientifica da 30 anni alla peggiore idea dell’urbanismo, in cui non c’è proprio nessuna cognizione di ciò che significa l’arredo urbano, il decoro pubblico e anche la destinazione d’uso dei negozi. Per cui ti ritrovi con una teoria infinita di orribili bar e catene che distruggono la natura stessa del luogo… A quel punto capisci che l’Italia non ha molta speranza, perché non ha proprio coscienza di sé.

     

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    Beh, neanche gli Stati Uniti, dai.

    Gli Stati Uniti sanno che l’entertainment è un’industria che devono assolutamente potenziare in tutti i modi possibili e immaginabili.

     

    Quindi ti unisci a Italia Nostra e al FAI in una battaglia da vecchie signore?

    Non mi sembra di aver detto quello.

     

    Ma è vero! Gli unici che combattono contro questa dissoluzione sono loro.

    Beh, non credo che questo sia accurato e vero, sinceramente. Il lavoro del FAI è un lavoro diverso, un lavoro encomiabile…

     

    Pensi che finirai come la signora Crespi (Nda, presidente del FAI) a produrre marmellate?

    Non so rispondere a questa domanda. Per un motivo semplice: perché non sapevo che la signora Crespi producesse marmellate. Ma so che mi piace fare marmellate.

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