Tommaso Pellizzari per corriere.it
pochettino
È vero, ci vorrebbe una legge che proibisca di citare Osvaldo Soriano ogni volta che si racconta una storia di calcio argentino. Ma, nell’attesa che si colmi questo inspiegabile vuoto legislativo, approfittiamone: perché davvero l’inizio della storia di Mauricio Pochettino, l’allenatore che ha portato il Tottenham in finale di Champions League, sembra uno dei frutti più geniali della fantasia dell’autore di «Pensare con i piedi».
Dunque. Due del mattino di un giorno imprecisato a metà anni Ottanta: un uomo suona il campanello della casa di Murphy (stato di Santa Fe) in cui vive la famiglia Pochettino, originaria di Virle Piemonte. Il padre Hector, agricoltore con la passione per la bagnacauda, va ad aprire. «Suo figlio è in casa?» chiede l’uomo. «Certo, ma sta dormendo» risponde lui. «Me lo chiami» replica l’uomo. Don Hector cede e porta il figlio, tredicenne e in calzoni corti, sulla soglia di casa. L’uomo gli guarda le gambe magrissime e dice: «Va bene, grazie». Poi Marcelo Bielsa risale sulla sua 127 e prosegue il viaggio alla ricerca di talenti nel resto dell’Argentina. È così che Mauricio Pochettino diventa il centrale (soprannominato da Bielsa «lo Sceriffo») che guida la difesa del Newell’s Old Boys di Rosario alla conquista di due campionati argentini e alla finale di Copa Libertadores persa nel 1992 contro il San Paolo. Nel 1994 abbandona la sua seconda attività (aiutare il padre nei campi dopo gli allenamenti): va all’Espanyol di Barcellona, poi al Psg. E Bielsa («un secondo padre» dice ancora oggi Pochettino) lo convoca in nazionale per il Mondiale 2002. Dove lo Sceriffo abbatte l’inglese Owen, causando il rigore decisivo per l’eliminazione di quell’Albiceleste. È ovviamente solo una curiosa coincidenza che in quella stagione Owen giocasse nel Liverpool, la squadra che il Tottenham di Pochettino affronterà in finale di Champions League l’1 giugno a Madrid. Una sfida alla quale gli Spurs sono arrivati dopo l’eccezionale rimonta sull’Ajax in semifinale: vittoria 3-2 ad Amsterdam con gol al 95’01”. Ma una sfida, anche, alla quale il Tottenham era arrivato dopo una serie non piccola di coincidenze, o se preferite sliding doors, come da celebre film (ambientato, guarda caso, a Londra) su come i destini possano cambiare a seconda di una porta di metrò aperta o chiusa.
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Prima porta: quella del Psv Eindhoven che l’Inter non riesce a centrare più di una volta nell’ultima partita del gruppo B di Champions. A San Siro finisce 1-1 e il Tottenham elimina i nerazzurri grazie al migliore scontro diretto. Seconda porta: quella in cui, all’andata dei quarti di finale contro il Manchester City, Agüero non mette dentro sullo 0-0 un rigore che avrebbe cambiato tutto. Terza porta: quella che vede annullare dalla Var, per un fuorigioco quasi invisibile, il gol del 5-3 che li avrebbe eliminati. Var che l’anno scorso in Champions non c’era. Ma se Pochettino ha avuto fortuna, se l’è meritata tutta. La favolosa stagione europea del Tottenham nasce infatti nel modo più controintuitivo che si possa immaginare: al mercato estivo (e a quello di gennaio) gli Spurs hanno speso zero euro. In altri termini, non hanno comprato nessuno: tutte le risorse del club erano infatti destinate al nuovo stadio da 980 milioni di euro (più 35 per il campo da allenamento).
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E poi, si racconta che Pochettino abbia chiesto una sola cosa al suo presidente: di tenergli, contrariamente a quanto succede ormai ovunque, soprattutto i giocatori che chiedevano di andare via: «Sono quelli che hanno più voglia di vincere». Perché per Pochettino il calcio è un «contesto emozionale». Che quest’anno ha creato alla perfezione rimontando non solo l’Ajax, ma anche la sua immagine di bellissimo perdente. Bellissimo perché lui, che si definiva «calciatore argentino e allenatore spagnolo», ha sempre fatto giocare bene il Southampton (allenato nel 2013-2014 dopo quattro anni sulla panchina dell’Espanyol) e poi il Tottenham, che guida dalla stagione successiva. E già allora aveva promesso che un giorno sarebbero stati in corsa per la Champions: «E ci fu chi scrisse» ricorda lui adesso «ma che cosa fuma questo ragazzo? Che pasticche si cala?».
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E invece sta succedendo, dopo avere eliminato il City (pur senza il centravanti-capitano Harry Kane), aver giocato una semifinale senza il coreano Son (riadattato a falso e imprendibile 9) e dopo che Pochettino ha aggiunto molto Dna guerriero inglese alla sua doppia identità calcistica. Difficile, l’1 giugno, tifare per gli Spurs, visto che dall’altra parte c’è il Liverpool di Klopp (anch’esso reduce da una rimonta epica, contro il Barcellona). Ma difficilissimo anche tifare contro un allenatore che ama ripetere cose come «è molto ingiusto dire che uno è bravo o scarso in base solo ai titoli vinti. Per me, il giudizio si deve basare su ciò che lasci, quello che resta di te e in che misura sei riuscito a fare dei tuoi giocatori dei calciatori migliori». Convinzioni nemmeno troppo diverse dai quattro principi-guida di Klopp: «Lasciare un posto dopo averlo migliorato. Non prendersi troppo sul serio. Dare tutto. Amare ed essere amato». Non si potrebbe assegnare la Champions ex aequo, almeno per una volta?
POCHETTINO AVVISA
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Da www.itasportpress.it
Mauricio Pochettino lancia l’allarme. Malgrado l’impresa che ha portato il Tottenham a conquistarsi la sua prima storica finale di Champions League, l’argentino è tutt’altro che convinto di rimanere ancora sulla panchina degli Spurs. Il tecnico, parlando alla BBC, ha infatti manifestato quelle che sono le sue perplessità circa il futuro.
“O LE COSE CAMBIANO OPPURE…”– “Non ho intenzione di restare ancora qua senza un nuovo progetto: servono idee chiare. So perfettamente come funziona questo lavoro e noi dobbiamo cambiare modo di operare. Non è un discorso legato a quanti soldi si spendono, ma se si intende puntare ogni anno alla finale di Champions ci vuole un progetto diverso rispetto a quello avuto negli ultimi cinque anni. Continuando così sarebbe impensabile di poter continuare a lottare ai massimi livelli. Se vogliamo competere con Liverpool, City, Chelsea e United ci vogliono differenti strumenti. Se così non fosse, sarei uno stupido a restare”.
POCHETTINO
Da sportmediaset.mediaset.it
city tottenham pochettino
Non ha nemmeno fatto in tempo a mettere in dubbio la sua permanenza a Londra, sponda Tottenham, che Mauricio Pochettino è immediatamente finito nei radar della Juve. Mentre infatti continua a slittare l'incontro tra Allegri - segnalato piuttosto nervoso - e Andrea Agnelli, i bianconeri avrebbero già preso i primi contatti con il tecnico argentino degli Spurs che avrebbe dal canto suo dato la sua disponibilità a valutare l'offerta della Juve. E il problema è tutto qui, dato che stando a quanto trapela Pochettino avrebbe chiesto un ingaggio da top allenatore arrivando a quota 20 milioni netti (attualmente ne guadagna 18, ndr), quanto cioè percepito attualmente al City da Pep Guardiola, il grande sogno del presidente bianconero.
Cosa accadrà, dunque? Per capirlo è necessario fare un passo alla volta e aspettare innanzitutto il famoso e ormai famigerato incontro con Allegri. Abbiamo detto che il tecnico pluriscudettato è segnalato nervosetto. Non si aspettava, forse, questo comportamento da parte della proprietà e pensava di avere in mano le giuste carte per vincere la partita con Agnelli. Il problema è che il club non è affatto convinto di proseguire con l'attuale allenatore e continua a sondare diverse piste alla ricerca di un tecnico che possa garantire un gioco più propositivo e dare nuova linfa alla rincorsa, ossessiva, alla Champions.
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In questo senso Pochettino è un profilo adatto, ma è solo l'ultimo degli uomini messi nel mirino dalla dirigenza della Signora. Con lui, in questa lista che si allunga di giorno in giorno, ci sono Deschamps e Guardiola, Simone Inzaghi e Gasperini, per arrivare perfino a Maurizio Sarri, uno che dalle parti di Torino dire che non è amato è un eufemismo. Eppure nulla è ancora deciso e semmai fa una certa impressione questa titubanza all'interno di una società che ha invece fin qui avuto idee sempre molto chiare. Mentre Allegri, dal canto suo, flirta con Parigi e aspetta la chiamata del Psg.
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