Carlo Maria Vigano
(ANSA) - La scomunica è la pena più grave nella Chiesa cattolica perché è la presa d'atto del fatto che la persona battezzata che si è macchiata di uno dei delitti canonici per i quali è prevista non è più in comunione con la Chiesa.
Non può quindi celebrare né ricevere i sacramenti, non può partecipare attivamente alle celebrazioni di culto; non può ricoprire uffici, ministeri o incarichi ecclesiastici, né porre in essere atti di potestà di giurisdizione. E in alcuni casi più gravi previsti dalla legge canonica, se si tratta di un chierico, non è esclusa la dimissione dallo stato clericale. La scomunica è tuttavia una censura non perpetua e può essere rimossa nel caso in cui la persona dia prova di vero pentimento.
La scomunica è prevista in caso di apostasia, eresia e scisma. "L'apostata, l'eretico e lo scismatico incorrono nella scomunica latae sententiae", stabilisce il canone 1364 del codice di diritto canonico, richiamato dalla disposizione della Dottrina della Fede nella vicenda di mons. Carlo Maria Viganò.
Carlo Maria Vigano
La scomunica è 'latae sententiae', cioè automatica, quando scatta per il solo fatto di avere commesso uno dei delitti contro la fede. Nel provvedimento dell'ex Sant'Uffizio riguardante Viganò viene citato anche il canone 751 del codice di diritto canonico nel quale si indica che cosa è lo scisma e le differenze con gli altri delitti per i quali anche è prevista la scomunica: "Vien detta eresia, l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa; apostasia, il ripudio totale della fede cristiana; scisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti", è il testo della legge richiamata.
Carlo Maria Vigano
Nel caso in cui mons. Viganò dovesse pentirsi e chiedere che gli sia tolta la scomunica, "la rimozione della censura in questi casi è riservata alla Sede Apostolica", precisa ancora il Sant'Uffizio.