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    FERRARA: MA DOVE CAMPA ZAGREBELSKY? - GUSTAVO E’ INDIGNATO PER LE SANZIONI AGLI EDITORI PREVISTE NELLA LEGGE SULLA DIFFAMAZIONE - SECONDO LUI L’EDITORE PAGA GIA’, IN VIRTU’ DI UN “TACITO PATTO”, LE EVENTUALI CONDANNE PECUNIARIE DEI GIORNALISTI! – L’ELEFANTINO METTE LA PROBOSCIDE NELLA PIAGA: DOVE SAREBBERO GLI EDITORI “PURI”, CHE NON CONDIZIONANO I REDATTORI?...


     
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    Da "Il Foglio"

    Gustavo Zagrebelsky foto La PresseGustavo Zagrebelsky foto La Presse

    Gustavo Zagrebelsky è indignato perché, nel progetto della nuova legge sulla diffamazione in discussione al Senato, sono previste sanzioni pecuniarie a danno dell'editore dei giornali. "Neppure il fascismo aveva previsto una disciplina del genere", tuona su Repubblica, forse dimenticando che il fascismo aveva imposto agli editori dei due maggiori quotidiani, il Corriere della Sera e la Stampa, di cedere la proprietà, che da allora è stata detenuta da gruppi industriali e finanziari.

    L'editore, peraltro, è già oggi coinvolto, attraverso quello che Zagrebelsky definisce graziosamente "il patto che per consuetudine viene stipulato, almeno tacitamente, tra impresa, direttore e giornalisti: la copertura finanziaria da parte dell'editore delle eventuali condanne pecuniarie dei giornalisti che operano nella sua impresa". Dunque l'editore paga già oggi, e può quindi esercitare una funzione che lo garantisca da questo rischio.

    SILVIO BERLUSCONISILVIO BERLUSCONI

    Zagrebelsky sa benissimo che le imprese editoriali in Italia non somigliano neppure lontanamente all'immagine anglosassone dell'editore puro, che esercita una sorta di potere di opinione e di controllo, indipendente da interessi politici, proprio in virtù della sua partecipazione nell'impresa economica. Basta che guardi la sua Repubblica, senza bisogno di sporgersi a guardare il patto di sindacato del Corriere, vera camera di compensazione di tutti i poteri non puramente editoriali d'Italia.

    CARLO DE BENEDETTICARLO DE BENEDETTI

    Affrontare i problemi della libertà e responsabilità della stampa in un quadro astratto dalla realtà effettuale per trarne conclusioni preconfezionate e faziose è una forma raffinata, ma insopportabile, di ipocrisia. Descrivere un quotidiano italiano come un collettivo di redattori che rispondono solo a un orientamento generico del direttore che, pur essendo nominato da una specifica proprietà, ne ignora gli interessi, è un espediente che serve soltanto a stendere una cortina fumogena per impedire ai lettori di leggere in trasparenza orientamenti e giudizi.

    In Italia i grandi quotidiani (e non solo) non sono "cani da guardia del potere", sono essi stessi parte di un sistema di potere, non sono giudici esterni della battaglia politica e finanziaria, ma attori diretti di quelle battaglie. La distinzione giuridica delle responsabilità ha un valore funzionale che va salvaguardato, ma non può essere contrabbandata per una assoluta indipendenza, che non c'è affatto. Dire che "l'editore non può entrare nelle redazioni", in Italia, è addirittura ridicolo.

     

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