MARIA TERESA MELI per il Corriere della Sera
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Enrico Letta ha ottenuto, come era ovvio, la delega del Pd a trattare sul Quirinale, ma sa che la strada nel suo partito è tutt' altro che in discesa. C'è un fronte interno anti Draghi. E anche sulle schermaglie tattiche non c'è accordo. Il segretario nei giorni scorsi non aveva escluso l'uscita dall'Aula nel caso in cui veramente Silvio Berlusconi si presentasse alla quarta votazione.
Ma tra i dem non tutti la pensano come lui. Per esempio Andrea Orlando, che invita tutti a «non sottovalutare il significato simbolico» di quello che si deciderà di fare. Peraltro, come ammette lo stesso segretario, c'è un'altra scelta complicata da fare: «Sarà difficile decidere se ai primi tre round si vota scheda bianca o si sceglie un nome condiviso». Lo si stabilirà con gli alleati.
Già, perché il leader del Pd dà l'alleanza con i Cinque Stelle per acquisita e infatti li ringrazia in anticipo. Ma quel fronte reggerà la prova del Quirinale? Interrogativo obbligato che non ha una risposta già ora, anche se Letta evoca il «progetto comune» per cui si andrà alle elezioni insieme. Il prossimo inquilino del Colle, però, potrebbe essere il discrimine.
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Perché Letta è convinto che se Draghi vuole andare al Quirinale bisogna aiutarlo e Giuseppe Conte, invece, punta altrove. Comunque, se è vero che per dirla alla Letta «il centrodestra non ha diritto di prelazione» per il Quirinale, è altrettanto vero che tutte le strade dem per il Colle passano per Salvini. È la via che ha intrapreso per primo il segretario.
Sì, Letta e Giorgia Meloni hanno un feeling particolare, ma il leader del Pd è un politico accorto e sa che senza Salvini cancellare l'«operazione scoiattolo» è impossibile. A lui si è rivolto in questi giorni di colloqui (ovviamente tenuti riservati) in cui ha spiegato al leader leghista che avrebbe potuto «fare il kingmaker » o avrebbe potuto sprecare questa occasione: «Poi lo farà Berlusconi». In questo senso l'offerta a Salvini è chiara. La esplicita Gianni Cuperlo nella grande assemblea dem: «È necessario un rafforzamento del profilo politico del governo, visto che non tutte le personalità tecniche presenti hanno dato una prova brillante». Tradotto in italiano, al di là delle intenzioni di Cuperlo che non ci pensava, questo è il messaggio che è stato fatto arrivare a Salvini dai draghisti del Pd: «Se il premier va al Colle, si fa un nuovo esecutivo perché vanno via anche i tecnici e ci saranno nuovi posti per i politici».
ENRICO LETTA PARLA DI DRAGHI A PORTA A PORTA
Insomma, si parla di un numero ragguardevole di dicasteri. In teoria. Innovazione digitale, Giustizia, Interno, Economia, Transizione ecologica, Infrastrutture, Istruzione. Anche al Pd qualcuno ci ha fatto un pensierino. Probabilmente senza sapere che Letta, fedele a quanto ha detto sin dalla sua elezione, lì metterebbe solo donne. Nei palazzi della politica si fa il nome di Irene Tinagli. Comunque il toto-ministri, tra i dem così come tra i leghisti impazza ben più del toto-Quirinale.
C'è poi una seconda strada, caldeggiata fortemente da una gran parte dei dem, a cui Letta non si oppone perché il suo obiettivo è quello di non trasformare l'elezione del Quirinale in un rodeo e di non dividere il Pd. Ossia la strada, su cui si potrebbe incontrare anche Giuseppe Conte, ma il M5S e Luigi Di Maio chissà. Quella di portare una personalità come Giuliano Amato al Colle.
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Anche Massimo D'Alema sarebbe della partita. È l'aspirazione di Andrea Orlando e di Goffredo Bettini. Che non a caso alla riunione dem dice: «Converrebbe anche al centrodestra un presidente democratico dotato di grande forza politica». Tradotto: Salvini se vincesse le elezioni sarebbe legittimato da Amato. Infine c'è la terza via. Letta ha sbarrato quel passo: il centrodestra non può decidere. Ma resta in campo: una candidata come Letizia Moratti, ben vista da Salvini, forse nel centrosinistra prenderebbe a scrutinio segreto i voti che il leader di Forza Italia non prende: «Però Salvini si deve sbrigare, perché sennò il kingmaker lo farà Berlusconi». E su questo le strade del Pd si riuniscono e torna l'unanimità.
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