DATECI IN PRESTITO BERTRAND
Michele Serra per "la Repubblica"
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Bisognerebbe chiedere in prestito alla Francia, anche solo per un paio di legislature, Xavier Bertrand, leader dei repubblicani, vincitore delle elezioni regionali. È precisamente il tipo di giocatore che ci manca, coprirebbe una zona del campo che da noi è scoperta: la destra democratica, europeista, antifascista. Marine Le Pen lo teme ben più della sinistra, quanto suo padre temeva Chirac.
Il centrodestra, in Francia, è il primo argine contro la destra estrema, e lo è dai tempi di De Gaulle. Impossibile anche solo pensare a un' alleanza del centrodestra con il Front National, i cui candidati, fino a qui, si sono sempre trovati davanti un muro: il patto repubblicano tra gollisti, centristi e sinistra.
Quando si vedono, qui da noi, i sedicenti liberali di Forza Italia spalla a spalla con Meloni e Salvini, si vede un triste unicum della politica europea. Alla jattura di due partiti sovranisti (doppione assurdo, oltre che mortificante) si aggiunge la gracilità storica dei nostri liberali. Per fare un Bertrand, non basterebbe che Carfagna, Calenda e Toti si mettessero insieme. Ma potrebbero almeno provarci, chi rompendo il patto scellerato con neofascisti e sovranisti (Carfagna e Toti), chi facendo outing come liberale di centro (Calenda), e lanciando un solenne appello all' elettorato moderato.
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Bisognerebbe poi che il Salvini andasse a fare il vice di Meloni, che sarebbe la sua corretta collocazione, e il cosiddetto leghismo di governo (Giorgetti) si avvicinasse al centro moderato. Vorrebbe dire, per tutti tranne che per i fascisti, addormentarsi tranquilli la sera delle elezioni: chiunque vinca, vincerebbe la Repubblica. Ma è solo un sogno, solo un gioco, come il Fantacalcio.
BERTRAND
Francesco De Remigis per "il Giornale"
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Sembrava un partito senza bussola. Anzi, un Titanic pronto a sbattere contro l' iceberg delle presidenziali 2022, per essere messo poi nelle cantine della storia. Invece è bastato un trionfo locale - vittoria in 7 macro-regioni dove la destra già governava a conferma di un apprezzamento del lavoro fatto negli ultimi sei anni - per rimettere al centro della scena nazionale Les Républicains, il cartello neogollista francese che ha scompaginato l' annunciata sfida di primavera per l' Eliseo tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen.
Non sarà invece solo una gara a due, e ieri c' è stato un assaggio del probabile nuovo duello.
Quello tra Macron e il grande vincitore delle regionali «golliste»: il 56enne Xavier Bertrand (confermato presidente col 52,37 per cento battendo socialisti e lepenisti nel secondo turno). Improvvisamente proiettato sul palco come «terzo uomo» per l' Eliseo, a Les Echos parla già da candidato a capo dello Stato: «La mia non è arroganza, non ci credo già, ma credo di vedere la strada, non solo per vincere ma pure per governare.
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Con Macron è guerra da tempo». Ieri, poi, il primo faccia a faccia con l' avversario dichiarato al sito industriale Renault vicino a Douai (feudo di Bertrand) per l' apertura di una fabbrica cinese di batterie e per lodare l' attrattività francese. «Zeru tituli» per il partito del presidente alle regionali e primo scambio al vetriolo tra due potenziali finalisti per l' Eliseo.
Macron è raggelato dalla freddezza del candidato in pectore.
«Complimenti - dice il capo dello Stato -. Felice di essere qui con lei. È un passo, ma sappiamo tutti cosa c' è dietro...». Bertrand concede un «grazie» ma si congratula con se stesso, per essere «riuscito a far arretrare» nella sua regione il Rassemblement di Le Pen.
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Macron (che al secondo turno in Alta-Francia aveva pure indicato ai suoi di votare il neogollista, magari sperando in un ripensamento di Bertrand per la corsa 2022), si mostra galantuomo: «Quando ci investi, ci arrivi». Ma la bordata Bertrand l' aveva già consegnata al quotidiano Les Echos: «Essere simpatici sul campo non sostituisce l' avere risultati».
In effetti, dopo aver inviato 5 ministri in extremis a difendere i colori di En Marche nell' Alta-Francia, con esiti disastrosi (fuori al primo round), Macron si era lanciato in un «pellegrinaggio» elettorale. Ieri il presidente è stato pure costretto a dire a mezzo stampa che «le elezioni locali non richiedono conseguenze nazionali». «Se volete uno scoop, non cambio primo ministro», rivela alla rivista Elle. Jean Castex resterà a Matignon «nei prossimi mesi».
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Al capo dello Stato non resta che ufficializzare l' investimento di 2 miliardi di euro da parte del gruppo Envision e mille caselle di lavoro entro il 2024. Ma sul posto c' è sempre Bertrand: ogni frase, ogni gesto, passati ai raggi X, mostrano il politico cresciuto nella cantera di Jacques Chirac, e già ministro di Sarkozy senza passare dalle grandi scuole (Sciences-Po o Ena), in piena gara. Guarda al presidente francese come un semplice avversario da battere. Il repubblicano senza più tessera cresce già di 3 punti nel gradimento, al 16% delle intenzioni di voto 2022 al primo turno; Le Pen è al 26%, Macron al 25%. Bertrand promette pure di evitare il ritorno dei gilet gialli «perché porterò soluzioni», pungendo ancora Macron su un nervo scoperto della sua presidenza.
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E su di lui potrebbero convergere anche gli altri due moschettieri della destra, Valérie Pécresse e Laurent Wauquiez, ancora divisi sull' ipotesi di primarie.
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