DAGOREPORT
MACRON SERRAJ HAFTAR
Eravamo un Paese dei Cachi, siamo diventati un Paese di Servi… Ma anche di chi s’inventa qualsiasi argomentazione possibile per coprire la figura di merda fatta sulla Libia. Nella sostanza se ci siamo fatti scappare la mediazione fra Serraj e Haftar è perché gli americani avevano ordinato all’Italia di non trattare con il generale, “ras” di Bengasi.
Di solito, in assenza di ambasciatore, le comunicazioni “americane” vengono veicolate attraverso i servizi di Sicurezza. Insomma, la Cia informa l’Aise e Manenti fa da portavoce con Palazzo Chigi. E così è stato anche questa volta. Peccato che questo scambio di informazioni sia avvenuto in concomitanza con l’Assemblea degli ambasciatori: vetrina dell’italica diplomazia.
elisabetta belloni
E non è un caso se la bellissima Elisabetta Belloni abbia formalizzato al microfono l’idea che quest’anno era meglio non farla. Il segretario generale subdorava qualcosa o voleva evitare il confronto con i colleghi diplomatici di mezzo mondo, incazzati per le nomine? Fatto sta che proprio durante l’Assemblea è avvenuto il fattaccio di Macron.
Non è dato a sapere se sui Campi Elisi Trump abbia dato semaforo verde a Macron all’operazione Libia. Di sicuro, due settimane fa James Mattis, segretario alla Difesa Usa, aveva garantito a Roberta Pinotti che doveva essere l’Italia a gestire “politicamente” il caos a Tripoli. E forte di questo “imprimatur”, la ministra s’è presentata all’Assemblea dei diplomatici.
Ma proprio nelle stesse ore l’Eliseo c’ha fatto il cucchiaio. E per renderlo più realistico, Macron ha preso sonoramente per il culo Gentiloni ed Alfano, inviando Jean-Yves Le Drian all’Assemblea dei diplomatici come “special guest”. Il ministro degli Esteri di Parigi, già ministro della Difesa con Hollande, è stato al gioco. Spallegiato dall’inviato Onu per la Libia, Ghassan Salamè, politico libanese ma di formazione francese. Circostanza che ha peggiorato l’umore, già funereo, di Mattarella.
ASSEMBLEA AMBASCIATORI
Il Capo dello Stato ha finito per fare da comparsa alle mosse di Parigi. E per di più è stato costretto a prendere la parola all’assemblea degli ambasciatori proprio mentre diventava ufficiale l’iniziativa diplomatica della Francia.
Un timing che le feluche più accorte non hanno potuto non osservare. Tant’è che nei corridoi della Farnesina più d’uno sogghignava per la figura di merda fatta da Alfano con il Presidente della Repubblica. “Quid non pervenuto”: pare sia stata la battuta più educata…
UNA DOCCIA FREDDA PER ROMA
Stefano Stefanini per La Stampa
ASSEMBLEA AMBASCIATORI PINOTTI BELLONI
Da Parigi, le buone notizie per la Libia spiazzano l’Italia. La mediazione francese fra Fayez al-Sarraj e Khalifa Haftar può segnare una svolta nella crisi; come tutti gli accordi, i fatti conteranno più delle parole. Certo è un brusco risveglio per l’Italia, tagliata fuori senza cerimonie dall’incontro malgrado l’impegno profuso in Libia negli ultimi dieci mesi (siamo l’unico Paese europeo e occidentale ad aver riaperto l’ambasciata).
donald trump emmanuel macron
Le parole sono quelle giuste: cessate il fuoco e elezioni in primavera. L’attuazione sarà problematica. Non solo dal dire a Parigi al fare a Tripoli (e a Tobruk) c’è di mezzo il proverbiale mare. I due uomini forti della Libia non controllano tutte le varie milizie, fazioni, tribù sul terreno. Resta di positivo che l’accordo fa giustizia delle rispettive pretese di legittimità (internazionale di Al-Sarraj, elettorale del parlamento di Tobruk che sostiene Haftar) in favore di un reciproco riconoscimento delle principali forze in campo.
Jean Yves Le Drian
E’ realpolitik. Se poi dell’avvio di questo processo politico beneficerà anche il controllo delle porose frontiere libiche e dei flussi migratori, non possiamo che rallegrarcene. Per Roma il filtro all’immigrazione è una massima priorità. A caval donato non si guarda in bocca.
Ciò nonostante la giornata di ieri resta un boccone amaro per l’Italia. Il nuovo presidente francese si è praticamente impossessato, dal nulla, della gestione diplomatica della crisi libica; le due parti hanno accettato senza battere ciglio il nuovo ruolo di Parigi; l’Italia, a quanto risulta, non è stata né invitata né consultata, se non tardivamente. Questo è avvenuto mentre il ministro Jean-Yves Le Drian era invitato d’onore alla Conferenza degli Ambasciatori italiani, in corso in questi giorni, e alla vigilia del passaggio da Roma anche dello stesso presidente libico, Al-Sarraj. Entrambi si profonderanno in spiegazioni poco convincenti.
PINOTTI MATTIS1
Il cambio di scenario e la rapidità con cui è avvenuto comportano tre considerazioni. La prima riguarda la Libia. La linea italiana sulla Libia, ribadita anche il giorno prima dal ministro Alfano, era sostanzialmente di appoggio alle Nazioni Unite che hanno riconosciuto in Fayez al-Sarraj il legittimo presidente della Libia. A più un anno di distanza dal suo insediamento a Tripoli questa legittimità internazionale mostra la corda.
alberto manenti
La realtà è quella di un Paese diviso con una spaccatura principale fra Tripolitania e Cirenaica. A Tobruk il parlamento rivendica la legittimità interna di essere stato eletto e il generale Haftar ha il contro-potere militare, nonché l’appoggio di Egitto (fondamentale) e di altre potenze esterne, fra cui Russia e Francia. In effetti anche l’Italia aveva sensibilmente modificato la posizione iniziale facendosi promotrice del dialogo fra le parti libiche, ma l’iniziativa di Emmanuel Macron ci ha scavalcato mettendo le due parti sullo stesso piano. Sarà difficile per Roma rimanere abbarbicata all’inefficace linea Onu.
ENI LIBIA
Il nostro ruolo in Libia resta forte: proprio per questo va aggiornato al nuovo scenario. La seconda riguarda la politica estera francese. Con Macron all’Eliseo la Francia torna alla tradizionale politica internazionale assertiva e tutto campo che François Hollande aveva messo in sordina. Il nuovo presidente è senz’altro europeista, ma ha ben presente l’obiettivo di ridare alla Francia un ruolo trainante - non solo in Europa, vedi l’accoglienza riservata a Donald Trump il 14 luglio.
MINNITI CON I CAPI TRIBU DELLA LIBIA
In ambito Ue questo significa puntare sull’asse con Berlino e riequilibrare l’inferiorità economica nei confronti della Germania con il dinamismo politico e le capacità militari. E’ inevitabile che questo tentativo di bilanciamento porti la Francia ad affacciarsi sul Mediterraneo occidentale.
LIBIA
Infine, nei rapporti internazionali conta la solidità del quadro interno. Questo è quanto oggi manca a Roma. La nostra voce è più debole; quella francese senza timidezze. Macron cavalca l’onda di una doppia vittoria elettorale. In questo momento è in una posizione più forte di qualsiasi altro leader europeo o occidentale: Donald Trump ha la palla russa al piede, Theresa May un governo di minoranza che deve negoziare Brexit, Angela Merkel è relativamente tranquilla ma non può distrarsi dalla campagna elettorale. Non si può rimproverare al governo Gentiloni di aver trascurato la Libia dove l’Italia è riuscita a mantenere, senza danni, una costante presenza. Tuttavia la fragilità della politica interna ha un prezzo e l’Italia lo sta pagando.
TOTAL ENI
Dall’incontro di Parigi l’Italia incassa la possibile svolta positiva della crisi libica. La discesa in campo francese può anche condurre a un maggiore impegno della latitante Unione europea; non sarebbe mai troppo tardi. Ne traiamo però una lezione: la Francia del nuovo, giovane, presidente è sicuramente un partner per il rilancio europeo ma anche un concorrente sul piano degli interessi nazionali. Eni e Total non vanno sempre d’amore e d’accordo pur avendo interessi comuni (ad esempio prezzo degli idrocarburi, rapporti con la Russia); perché aspettarsi un rapporto completamente diverso fra Roma e Parigi?