zahra vuole restare maschio shukria per anni ha vissuto col nome di shukhur
E’ semplice: se la beccano, nessuno più mangia. E ogni giorno Niima teme di essere scoperta. Fa velocemente tutto quello che le ordinano, sale sugli scaffali, mette in primo piano la merce, la porta alle casse. Non guarda mai negli occhi i clienti per paura che capiscano non si tratti di un ragazzino. Niima ha 10 anni e recita benissimo la sua parte. La sua voce è inequivocabilmente femminile, quindi non parla mai. Fuori da casa sua, nella periferia più povera di Kabul, tutti la conoscono col nome di Abdul Mateen.
La mattina si veste da femmina e va a scuola, poi si cambia e, da maschio, va a lavorare in un negozio di alimentari per 70 centesimi al giorno. Quando diventerà troppo grande per nascondere la sua identità, il suo posto lo prenderà la sorellina. E’ l’unico modo che hanno di sopravvivere. Non si tratta di un caso isolato.
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Queste bambine cresciute in Afghanistan. Come fossero bambini hanno un nome preciso, “bacha posh”. Perché? I motivi sono molteplici: c’è bisogno di una rendita in più in famiglia, un maschio è più al sicuro per le vie della città, ha più libertà, e soprattutto dà una buona reputazione. Una famiglia di Kabul non è completa se non conta un maschio. Senza un uomo, è debole, vulnerabile.
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Per Azita, 33, la mancanza di un figlio maschio impediva la carriera nella politica. Eletta in Parlamento dopo la disfatta dei talebani, aveva promesso ai votanti delle zone rurali che avrebbe chiesto aiuti per migliorare la loro condizione economica. Quando arrivò a Kabul, nel 2005, venne accolta con sospetto. Aveva quattro figlie, come poteva fare qualcosa di buono se non era stata nemmeno capace di dare un figlio a suo marito?
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Allora Azita chiese a sua figlia più piccola se volesse vestirsi da maschio, giocare a calcio, andare in bicicletta. La bimba accettò. Si tagliò i capelli, si mise pantaloni e maglietta e diventò Mehran. Congratulazioni, Azita. La gente sapeva la verità, ma preferì un figlio finto alla mancanza di un figlio. C’è anche un’altra ragione per questa transizione imposta, qualcosa che ha a che fare con la superstizione: molti afghani credono che una “bacha posh” incoraggi il concepimento di un maschio vero.
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I “bacha posh” sono segretamente accettati dalla società afghana, ma la pratica diventa controversa quando arriva la pubertà. Una ragazzina che sviluppa deve essere protetta, deve restare vergine per il futuro matrimonio. A quel punto quindi la maschera va gettata. Ma a volte è troppo tardi.
Zahra ha 15 anni, non ha tratti femminili e non sa comportarsi da donna. E’ stata uomo da quando è nata e non intende cambiare. E’ lei che porta i soldi a casa. Dice: «I maschi sono più forti delle femmine. Possono fare quello che vogliono e sono liberi. Da piccola mi picchiavano e piangevo, adesso non mi toccano. E se mi toccano, rispondo».
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Ma Zahra non è più al sicuro. Il suo sesso si nota, e comincia ad essere isolata dagli altri per via della sua scelta.
Shukria, 35 anni, è infermiera in uno degli ospedali più grandi di Kabul. Fino a un mese prima delle nozze, aveva vissuto da maschio per provvedere ai bisogni della famiglia. In un pomeriggio si è dovuta togliere jeans e giubbotto per indossare una gonna lunga. Il marito è stato così comprensivo che per un periodo le ha concesso di tenere i pantaloni in casa. La sua vita è d’improvviso diventata piena di restrizioni: non può più uscire di casa quando vuole, deve coprirsi i capelli, cucinare, pulire. Soprattutto, deve imparare a pensare in modo diverso.
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Queste storie sono tratte dal libro “The Underground Girls of Kabul” di Jenny Nordberg.