Roberta Scorranese per corriere.it
michelangelo merisi caravaggio la nativita
«U’ quatru!», urlò una delle due anziane sorelle Gelfo, incaricate di tenere in ordine l’Oratorio di San Lorenzo, scrigno del barocco nel mandamento Kalsa, a Palermo. È un giorno di metà ottobre del 1969, è mattina presto e le due donne, come sempre, si preparando ad aprire la porta del luogo di culto. La prima delle due sorelle, quella che è appena entrata, si accorge subito che c’è qualcosa di strano: la vecchia finestra è aperta, qualcuno ha semplicemente forzato la serratura usurata.
Poi entra la seconda, che le fa eco: «U’ quatru!». Tutte e due capiscono al volo: la «Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi», olio su tela di Caravaggio, rimasto lì per oltre 360 anni, è sparito. Al suo posto, una nicchia vuota e sporca, quasi un buco nell’Oratorio dove i putti in stucco di Giacomo Serpotta disegnano un raffinato ricamo settecentesco.
Da quella notte (anche se, come vedremo, forse questa vicenda comincia qualche giorno prima), la storia dell’arte non sarà più la stessa.
oratorio di san lorenzo con copia della nativita
La Natività di Caravaggio entrerà presto in una lista nera, quella delle dieci opere d'arte più ricercate al mondo (per la precisione, al momento è al secondo posto nell'elenco di Fbi, superata solo da alcuni reperti archeologici iracheni) ma non dimentichiamo che siamo nel 1969: l’autunno caldo degli scioperi operai è ancora in corso, mentre il dolore per gli attentati terroristici ai treni dell’agosto precedente è ancora forte.
Non è un’Italia serena quella nella quale scompare la «Natività» di Caravaggio: il 10 giugno 1969 si era concluso a Bari il processo contro la mafia di Corleone e non si era concluso bene, perché l’impianto dell’accusa si era sgretolato e c’erano state 64 assoluzioni per mancanza di prove. Tra gli imputati, anche Totò Riina. Fu proprio quella storia criminale che regalò a Mario Puzo l’ispirazione per il best seller «Il padrino», uscito in quell'anno.
la nativita caravaggio articolo corsera 1992
Il «ponte» tra Cosa Nostra e la tela di Caravaggio non è casuale: in questi 55 anni nei quali si sono accavallate centinaia di ipotesi (e nessuna certezza, va detto subito) sulla sorte del quadro, le dichiarazioni più controverse sono venute proprio dai pentiti e dai collaboratori di giustizia. Almeno sei pentiti hanno raccontato sei versioni differenti: esposto come una reliquia nei summit di Cosa Nostra, fatto a pezzi, utilizzato come scendiletto dai capi, venduto, trafugato in Svizzera, regalato, ancora integro ma nascosto in chissà quale dimora.
Quello che ha raccontato la versione più dettagliata è stato Marino Mannoia: a Giovanni Falcone rivelò che il dipinto era stato fatto a pezzi ma non prima di averlo mostrato a un possibile acquirente pronto a tutto. Peccato che Mannoia, qualche anno fa, abbia rivisto la sua versione, ammettendo di aver fatto quelle dichiarazioni perché sotto pressione da parte del pool antimafia.
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Le lettera e i «ricattatori»
Ma che cosa sappiamo, almeno finora, di questo furto? Un ricercatore che da anni indaga sul mistero, Michele Cuppone, ha ricostruito almeno le prime fasi, in un libro (edito da Campisano) dal titolo «Caravaggio, la Natività di Palermo. Nascita e scomparsa di un capolavoro». Tanto per cominciare, Cuppone scopre che la scomparsa potrebbe datarsi un paio di giorni prima di quanto si era sempre pensato, quindi non il 17 ma il 15 ottobre.
I ladri semplicemente forzarono una finestra (un gioco da ragazzi), molto probabilmente asportarono la tela con una piccola lama e l’avvolsero in un tappeto.
(...)
Questa lettera, dunque, insinua la possibilità che la mafia (o qualcun altro) abbia provato a imbastire una trattativa con le istituzioni, ma questa non andò a buon fine. Secondo la testimonianza di un altro pentito, Gaetano Grado, il dipinto avrebbe preso la strada della Svizzera poco dopo il furto, quindi la lettera pubblicata da Cuppone indica che quattro anni dopo l’opera era ancora — sotto qualche forma — in vita? Oppure si trattava solo di millantatori attratti dalla possibilità di un profitto proveniente dal riscatto?
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In questi lunghi 55 anni, la Natività è stata vista — di volta in volta — in casa di Totò Riina, nascosta in una porcilaia, in una Polaroid scattata in Sicilia. Ci sono stati investigatori pronti a giurare che si trova ancora nell’isola. È stata usata come «grimaldello» da alcuni pentiti per ottenere pene più morbide ed è riaffiorata più volte nelle ipotesi di trattativa Stato-Mafia. Nell'inchiesta è finito anche il nome del barone Von Thyssen-Bornemisza, la cui famosa collezione aveva la sua sede a Lugano; Rodolfo Siviero, il «monument man» italiano che all’epoca dirigeva l’Ufficio per le restituzioni al Ministero degli affari esteri, lo fa sorvegliare con attenzione.
nativita di caravaggio
Dove si trova oggi? La pista svizzera
Ma, come ammette Cuppone, «al momento non c’è alcuna certezza» sulla sorte del dipinto. Lo studioso però è riuscito a scoprire qualcosa di più sulla data di esecuzione del quadro, che risalirebbe al 1600, nel periodo romano dell’artista, quando Caravaggio stava lavorando alle storie di San Matteo a San Luigi dei Francesi: ci sarebbe addirittura il contratto di commissione.
TOTO RIINA
Poi, certo, c’è la relazione della Commissione Antimafia (2018) che accantona l’ipotesi della distruzione dell’opera e avvalora la tesi del furto e del trasporto in Svizzera, per mano degli uomini di mafia come Gaetano Badalamenti. Quindi, di certo, un furto di mafia. In definitiva, ci sono ancora speranze di ritrovarlo? Difficile dirlo, ma anche immaginarlo: sono trascorsi troppi anni e troppe mezze verità hanno sviato le indagini.
Consola, ma solo fino a un certo punto, la perfetta riproduzione digitale che oggi campeggia sopra l’altare di San Lorenzo, quello che lascia l'amaro in bocca è una vicenda ancora oggi intricata. Che ha ispirato romanzi e film (l'ultimo in ordine cronologico è «Una storia senza nome» di Roberto Andò). Restano le parole di un fine intellettuale come Leonardo Sciascia.
oratorio di san lorenzo con copia della nativita 4
Poco tempo dopo la notizia del furto, commentò: «Sono sempre stato dell’opinione che l’Italia (...) dovrebbe rinunciare, totalmente e definitivamente, alla custodia e manutenzione delle opere d’arte». Lui, che intitolò «Una storia semplice» il suo romanzo ispirato al fatto di cronaca.
gaetano badalamenti